Sinistra e industria
Letta (e bocciato). Il suo piano per risolvere la crisi Embraco è quello fallito dei 5s
Riprende dal cassetto un piano industriale già superato dalla realtà
Il segretario del Pd vuole "chiarimenti" da Draghi e Giorgetti in merito al piano Embraco presentato del governo Conte II. Ma il piano è fallito perché non si è mai trovato il partner privato. E' la condizione necessaria affinché l'Europa non lo ritenga un aiuto di stato
O non conosce tutta la storia o la conosce e non ha saputo inventarsi nulla di meglio. Qual è l’idea formidabile di Enrico Letta per risolvere una delle più grandi crisi industriali d’Italia? Qual è la promessa che ha appena fatto a Torino ai licenziati della Embraco? Riprendere un progetto fallito del precedente governo Conte II, bocciato dall’Europa, e suggerire che la colpa è dell’attuale governo Draghi (dunque del suo) perché “non ha portato avanti gli impegni del precedente. E’ un tema su cui chiederò chiarimenti”. Innanzitutto dovrebbe chiedersi come è possibile che un’azienda in crisi dal 2017 sia nuovamente in crisi nel 2021. Successivamente dovrebbe chiedersi se accorpare Embraco alla Acc di Belluno (come prevede questo eccezionale piano) sia una soluzione o una grande stupidaggine. Il famigerato progetto di cui parla Letta si chiama infatti Italcomp e l’Europa, che ama il segretario del Pd, lo ritiene, senza la partecipazione dei privati, nient’altro che “un aiuto di stato”.
E’ giusto illudere questa umanità in attesa? Chi come il Pd è preoccupato delle multinazionali che licenziano con “Whatsapp” dovrebbe riaprire il fascicolo Embraco. Scoprirebbe che molte di quelle multinazionali sono state individuate anche dai suoi governi e che la verità è una: mai fare propaganda con i licenziati. Partiamo da Embraco. E’ un’azienda che si trova a Riva di Chieri (in provincia di Torino) e che ha prodotto compressori. Faceva parte del gruppo Whirlpool. Da tre anni si tenta di salvarla. Il primo tentativo risale al governo Gentiloni e se ne è occupato il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Nel 2018 viene venduta alla Ventures srl una società che doveva produrre robot per pannelli fotovoltaici. Come è andata? E’ andata che gli operai entravano in azienda ma a mancare era l’azienda. Non erano mai arrivate le nuove linee produttive. Era un imbroglio e non lo dice un giornale, ma il tribunale di Torino tanto da muovere l’accusa di bancarotta distrattiva. L’azienda fallisce nel 2020.
Spostiamoci adesso in Veneto, alla Acc di Mel, provincia di Belluno. Altra azienda di compressori. Altra crisi industriale. 290 dipendenti. E’ l’azienda che nel piano Italcomp dovrebbe fondersi con Embraco. Entra in crisi nel 2013 e questa è la sua breve storia. Viene nominato un commissario straordinario per garantire la continuità industriale e la cessione degli asset. Si chiama Maurizio Castro. E’ un ex manager della Zanussi, direttore della Fiera di Vicenza, ex senatore del Pdl. Cosa fa? Promuove un’asta internazionale e mette sul piatto una legge di stato (“Prodi bis”) che permette di ristrutturare le finanze dell’azienda. Significa finanziamenti agevolati. La gara viene vinta da una multinazionale cinese. E’ la Wanbao. Ed è lo stesso Castro a presentarla alla stampa: “Fa il suo ingresso un grande gruppo internazionale che ha la volontà e le risorse per rilanciare lo stabilimento”.
Il grande gruppo internazionale evidentemente non lo era o forse proprio perché lo era si disimpegna. Un anno fa decide di andare via, vuole vendere. Ma perché tutto questo lungo racconto? Per spiegare che in questi anni l’unica grande intuizione (chiamiamola di sinistra dato che è stata lanciata dall’ex ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, dalla sua viceministra Alessandra Todde, ancora in carica, e adesso sponsorizzata da Letta) è stata richiamare Castro. E’ l’uomo che ha venduto la Acc a questi cinesi che sono fuggiti ed è il padre del progetto Italcomp che tanto piace a Letta e che, stando alle sue dichiarazioni, Draghi e il suo ministro Giancarlo Giorgetti terrebbero nel cassetto. Ma vediamo nei dettagli questo piano.
Prevede la costituzione di una società partecipata al 70 per cento dal pubblico e per il 30 per cento di capitale privato. Prima ancora di comprendere la fattibilità, sono state rilasciate interviste per festeggiare il salvataggio. Ma quale? Questo è quello che diceva Castro al Sole 24 Ore (era il 20 novembre del 2020). Un assaggio: “Se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante. Uniremo le forze di uno stabilimento in difficoltà, l’Acc, e di uno fermo, l’ex Embraco, per dare vita ad Italcomp con una massa critica sufficiente ad affrontare il mercato”. Risultato? L’ investitore privato non si è mai trovato. L’investitore privato serve altrimenti vengono violate le regole europee in materia di aiuti di stato. Al momento per evitare il licenziamento dei 400 lavoratori Embraco (era previsto per il 22 luglio) il governo ha deciso di prorogare di altri sei mesi la cassa integrazione gratuita. Al momento, di questo piano, e lo ha detto Giorgetti in un comunicato, “esiste solo una nota verbale fornita da Castro, alla quale, per altro, non è mai seguito, purtroppo, nessun riscontro formale”.
Cosa è dunque meglio? Dire la verità, anche dura, ovvero che bisogna tutelare i lavoratori, riqualificarli, o continuare a smerciare piani industriali, che si traducono in interviste fasulle, per gonfiare la vanità di viceministri e segretari di partito? C’è dell’altro. Questa vicenda è la prova di cosa si ottiene con le bozze antidelocalizzazioni, le bozze della “grande punizione”. Come si vede, le multinazionali sono andate via anche quando al governo c’era la sinistra. Quelle che ci servono per permettere a Italcomp di partire non ci sono. Sbaglia Letta a dire che questo governo deve chiarire. E’ il Pd che dovrebbe avere un’idea industriale che non sia un piano riciclato e superato.