Il caso
Nel Pd si aprono le danze per il congresso: Letta nel mirino di Base riformista
Scatta la guerra nel Partito democratico in vista delle prossime elezioni politiche. In molti danno per scontata la discesa in campo di Stefano Bonaccini
La corrente di Lotti e Guerini si appella allo statuto: la conta dovrà esserci sei mesi prima della scadenza del segretario dunque a ottobre del 2022. Ma il leader del Nazareno aspetta le amministrative per provare a giocare d'anticipo
La faccenda si può mettere giù così: Base riformista (Br) chiede che, come da statuto, sia indetto il prossimo congresso del Pd sei mesi prima della scadenza del mandato del segretario Enrico Letta. Ne va della sopravvivenza della corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini che altrimenti rischia di scomparire, o quasi, quando il Nazareno compilerà le liste elettorali per le prossime politiche.
Con il congresso, invece, la partita si può riaprire. E forse con esiti clamorosi. Soprattutto se il pressing di Br su Stefano Bonaccini andrà a buon fine (“al 95 per cento riusciremo a convincerlo”, dicono i cosiddetti senatori ex renziani). Se al contrario il governatore dell’Emilia-Romagna dovesse tirarsi indietro, qualsiasi candidato in campo contro Letta riuscirà comunque a migliorare la rappresentanza in direzione nazionale di cui gode attualmente Base riformista: un 20 per cento figlio della mozione di Maurizio Martina, sconfitto nel 2019 da Nicola Zingaretti. In mezzo dunque c’è il futuro del Pd in vista delle prossime politiche. E sullo sfondo, una serie di eventi e incastri che danzeranno sulla politica italiana nei prossimi mesi. Intanto la prima data: il mandato di Enrico Letta, subentrato a Zingaretti, scade a marzo 2023. Lotti e Guerini chiedono che il congresso scatti a ottobre 2022. In tempo per presentarsi alle elezioni nel 2023, magari con un nuovo segretario.
Oggi l’assemblea telematica del Pd deve ratificare alcune indicazioni arrivate dalla commissione di garanzia. Il punto principale riguarda i termini di indizione del congresso. Viene a questo punto confermato, con ancora maggior chiarezza, quanto stabilito dall’ultima modifica statutaria dell’articolo 8 comma 2: “Il presidente dell’assemblea nazionale indice l’elezione dell’assemblea e del segretario nazionale sei mesi prima della scadenza del mandato del segretario in carica”. La cosa è semplice: Base riformista è sicura che, passata a febbraio l’elezione del presidente della Repubblica, la legislatura andrà avanti fino alla fine.
Anche perché i parlamentari attuali matureranno la pensione solo a novembre del 2022. L’unica incognita potrebbe essere l’elezione di Mario Draghi al Colle. Il premier, per la Lega, è l’unico collante di questo governo: senza di lui a Palazzo Chigi, per Salvini e Giorgetti ci sono le elezioni anticipate. Scenario che per Letta (e c’è chi dice anche per Giuseppe Conte) sarebbe l’ideale: andando al voto dopo l’elezione del Capo dello stato l’attuale segretario avrebbe mano libera per modellare le liste elettorali a sua immagine e somiglianza, con una direzione nazionale che gli risponde quasi in toto, pensando poi al congresso del partito con calma e senza frenesie. Perché il grosso ormai sarà fatto. Un’ipotesi, quella del voto con un anno di anticipo, che appare complicata: la gran parte degli attuali eletti (a partire dalla carovana di grillini ed ex grillini) non rientrerà più in Parlamento. Ma anche quelli degli altri partiti: come si sa al prossimo giro ci sarà un terzo di posti in meno per tutti. E’ il gioco del calendario dem. Con un’altra variante: se le amministrative andranno bene, sarà proprio Letta a invocare la conta.