L'arte sapiente di una risposta breve, spiegata con Draghi
Il presidente del Consiglio ha confermato una regola liturgica del potere: la risposta corta colpisce meglio, e non lascia scampo. Whatever-it-takes è una parola in meno di lo-stato-sono-io, ma significa la stessa cosa
La risposta corta incide più della replica cattiva, della rivendicazione orgogliosa, del sarcasmo e del tono supercilioso. Ma detta bene realizza con basso dispendio di energia il massimo della cattiveria, della sicurezza di sé, della beffa alle critiche verbose, e mostra una certa apprezzabile sufficienza di tono. Draghi la offre con un tocco d’artista e con un naturale elegante cinismo. Chi ha seguito la conferenza stampa del prez se ne sarà accorto.
I giornalisti lo pungolano: il voto leghista in commissione parlamentare contro il green pass, la Lamorgese, il Quirinale eccetera. Ottengono in risposta rasoiate occamiste (frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora). Qui si notò, quando l’ex Bce era a Città di Castello, che le tre parole famose, whatever-it-takes, erano una in meno della quaterna altrettanto famosa, lo-stato-sono-io, ma significavano al risparmio la stessa cosa. Quando Draghi dice che non è escluso l’obbligo vaccinale, le questioni parlamentari riguardano i partiti, la Lamorgese lavora molto bene, e stop, niente fronzoli, tutti pensano: Matteo propone, Mario dispone. Il governo sono io o, al massimo, siamo noi. Un esecutivo che dipende da tutti risulta, per la ragion retorica di chi lo presiede, svincolato da chiunque. Non male.
Monti fu pedagogo, con la lavagnetta, i grafici, le cifre, la replica dei fatti alla chiacchiera. Ma tirava in lungo, necessariamente, era uno che doveva spiegare. Draghi è mistagogo, introduce al mistero delle cose sacre della politica, prima fra tutte l’origine del potere, che è anche un percorso liturgico: l’emergenza, il vincolo esterno, la dinamica dell’esecutivo in mancanza di alternative possibili, l’unico e indivisibile corpo del re. E’ piuttosto spiazzante l’esclusione delle formule tipiche come la verifica, come i moniti, per non dire gli ultimatum e i penultimatum. Il prez non si sente in dovere di spiegare, di perdersi nel dettaglio, gli basta spargere incenso e dare al discorso, alla predica, la forma di un telegramma.
Qualche tempo fa ero preoccupato delle conseguenze politiche di Draghi. Mi sembrava che Salvini gongolasse nel suo fregolismo politico, fosse libero di interpretare influenzare dire e disdire sempre disinvolto a fronte di telecamera e opinione pubblica. Non avevo valutato fino in fondo questa tecnica della risposta corta e le sue implicazioni. Come fai a sciabordare sulla scia delle tue parole se ti viene opposta la rarefazione mistagogica? Impossibile. Non puoi accusare alcuno di essere arrogante, e nemmeno incassare l’impressione della cedevolezza al trucismo rispettabile che è il tuo nuovo abito, non puoi replicare al colpo di timone appena percettibile, ai segni misteriosi della legittimazione e del comando. Se Draghi è i due piatti della bilancia, e il bilanciere, non ha senso criticarlo da destra o da sinistra. Non è esatto dire che Draghi ha poteri taumaturgici, che ha rivoluzionato un sistema politico in declino, obbligando tutti a ricollocarsi secondo l’interesse nazionale, troppa grazia, troppo incenso, ma è estremamente preciso l’osservare che la sua misteriosa grazia di stato, finché dura l’effetto della risposta corta, e non è cosa che possa durare in eterno, non prevede serie obiezioni nemmeno dai più inveterati tra gli obiettori.