Draghi e le tribolazioni da semestre bianco sul ddl Concorrenza

Valerio Valentini

Rinviato a dopo l'estate a causa delle tensioni sulla giustizia, ora il provvedimento resta in attesa del varo in Cdm, che però tarda. Il nodo sulle concessioni dei balneari cari a Lega e M5s, le ansie dei partiti sui servizi pubblici locali. I veti incrociati in Parlamento

Per i tecnici di Palazzo Chigi e i loro colleghi del Mise, che ormai la bozza la conoscono a memoria a furia di analizzarla e spulciarla in riunioni sempre uguali e che s’impantanano sempre sugli stessi pochi problemi irrisolti, è diventato un po’ la tela di Penelope. Per gli uffici legislativi di tutti gli altri ministeri, invece, è una sorta di vaso di Pandora che è meglio non aprire. E insomma il disegno di legge sulla Concorrenza, uno dei pilastri del piano di riforme legato al Recovery plan, resta lì, in attesa di vedere la luce. E lunedì mattina, quando il sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli ha aggiornato il calendario dei lavori del governo, s’è capito che neppure questa è la settimana giusta, e neppure la prossima lo sarà.

 

Certo, ci sono le complicazioni su green pass e campagna vaccinale sempre incombenti; e certo, c’è anche la grana afghana e un G20 straordinario da organizzare. E inoltre la Commissione europea ha rimosso la scadenza intermedia sulla presentazione della riforma precedentemente fissata a fine luglio, per cui l’importante, ai fini dell’erogazione dei fondi di Bruxelles, sarà attuare le deleghe governative entro il dicembre del 2022, impegnando dunque il Parlamento a licenziare il provvedimento per la primavera prossima. E però, chi ha esperienza in materia, diffida dalla lusinga del rilassamento. Perché l’ultima volta che la legge sulla Concorrenza – una legge che in teoria, fin dal 2009, andrebbe approvata con cadenza annuale – è stata approvata, fu nel 2017 (governo Renzi), e il grande evento avvenne dopo ben 29 mesi di discussioni, baruffe e inconcludenze del Parlamento. Che è, notoriamente, il luogo dove gli interessi di bottega delle singole categorie, gelose dei loro piccoli privilegi, trovano maggiore asilo.

 

Per questo Mario Draghi, che non ha ancora messo davvero gli occhi sul dossier curato in particolare dai suoi consiglieri Marco D’Alberti e Francesco Giavazzi, ha chiesto di non temporeggiare oltre. Perché già a luglio, quando sulla stabilità del governo imperversavano i capricci grillini sulla riforma della Giustizia, s’era deciso di rinviare. Ora, però, anche in vista della sessione di bilancio, bisogna chiudere. Anche perché i rinvii rischiano di complicare anziché agevolare le trattative politiche. E non solo perché le fibrillazioni di Salvini da un lato, e quelle di Conte dall’altro, sembrano destinate ad aumentare con l’approssimarsi della sfida per il Quirinale e la ricerca del voto anticipato.

 

Aver superato la stagione estiva, ad esempio, toglie ogni alibi a chi, nella Lega e nel M5s, invocava l’accantonamento della norma sulla Bolkestein, che in effetti il premier aveva finora scansato. Ora invece la soluzione di compromesso che il Mise aveva trovato sugli ambulanti – che prevedeva di indire nuove gare per le licenze riconoscendo però una corsia preferenziale ai detentori di lunga data – potrebbe dovere essere estesa anche ai balneari, anche perché il 13 ottobre il Consiglio di stato tornerà a esprimersi sulla legittimità della proroga delle concessioni al 2033 varata dal fu governo giallorosso, e su cui pende una procedura d’infrazione europea. E anche l’intesa trovata sui servizi pubblici locali, con l’introduzione di vincoli specifici sul ricorso a contratti di servizi e l’obbligo di motivare la scelta della mancata messa a gara da parte dei comuni, rischia ora di finire nella buriana elettorale in vista delle sfide amministrative di ottobre. Tanto più che gli enti locali la Conferenza stato-regioni dovranno esprimersi in via preliminare sul disegno di legge.

 

Un passaggio che riguarderà anche le concessioni idroelettriche. Anche qui, il pragmatismo lumbàrd di Giancarlo Giorgetti, che guarda ovviamente agli interessi del nord, suggerisce un approccio moderato: non una riallocazione delle concessioni dalle regioni allo stato, ma una modifica della disciplina nazionale che introduca delle sanzioni per quelle giunte inadempienti sulla messa a gara dei servizi.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.