Il dovere morale di vaccinarsi
Gli ottimi autoritarismi di stato sulla salute pubblica
Sbaglia chi crede che le limitazioni della libertà siano effetto di un complotto planetario, ma sbaglia anche chi non rileva la novità del fenomeno e non riflette sul suo significato. W le masse sanitarizzate
Quando ho sentito Mattarella sul “dovere morale” di vaccinarsi ho pensato che la predica è forte, dura, intimidente, inaudita da parte di una personalità di rango costituzionale la più elevata; è evidente la sintonia con l’allusione di Draghi all’obbligo vaccinale come una possibilità; è in linea con la scelta rigorosa del green pass e con la sua progressiva estensione, per decreto governativo, a settori via via più ampi della popolazione (i dipendenti pubblici, per esempio); è per lo meno complementare a un reticolo di divieti, multe, limitazioni della mobilità che abbiamo sperimentato e sperimentiamo; e un magistrato ha preso un’iniziativa doveristica nella forma di una richiesta di impeachment a una voce pubblica dell’ambito no vax, attaccando in giudizio una posizione civile di per sé non illegale.
In difesa della salute pubblica, e della tenuta del sistema sanitario, economico e sociale, avanza tra gli applausi della maggioranza più ampia una forma inedita di autoritarismo di stato, ai limiti della osservanza costituzionale. Padrone è chi decide sullo stato di emergenza. Quasi ovunque la gente si mette in fila, adotta mascherina e distanziamento sociale, si vaccina ed esibisce il passaporto che lo certifica, lavora, viaggia, si sposta su treni e altri mezzi pubblici osservando regole strette (tamponi, quarantene, riduzione degli spazi per l’accesso al pubblico, divieto di assembramento). Nelle scuole, negli uffici pubblici, nei luoghi di lavoro e di svago, nei centri di consumo e in genere nei luoghi chiusi, tutto dipende dai dati epidemiologici, dalla loro interpretazione centralizzata, dai modelli previsionali degli scienziati, dalle decisioni dell’autorità che ha sempre nuove e più robuste leve per mettere in riga chi fa eccezione, chi adotta comportamenti liberi, spontanei, in definitiva bollati come irriflessivi, irresponsabili e antisociali.
In America, dove il potere è disseminato, in un sistema federalista con forti tratti comunitari e una vena preziosa ma critica di individualismo, il fenomeno della nuova autorità e del nuovo autoritarismo stenta a prendere piede, ma in gran parte d’Europa accade per lo più il contrario, vige l’allineamento, si dispiega una forma consensuale di sottomissione. Si realizza quanto paventato da filosofi e intellettuali effimeri e bizzarri nella pretesa che su una questione di vita o di morte restassero intatte le libertà individuali, anche quando sono per definizione relazionali (il contagio). Avevano previsto una stretta di disciplinamento, la sanitarizzazione delle masse, e la scongiuravano, secondo me a torto; ma avevano visto giusto, ovviamente. La nazionalizzazione delle masse è il tratto tipico dei totalitarismi del Novecento, la loro sanitarizzazione nel nuovo secolo, con percentuali bulgare di vaccinati tra molti milioni di cittadini di ogni età e condizione, è qualitativamente diversa ma in qualche modo affine.
Dovere morale, obbligo, aggeggi che discriminano tra chi può e chi non può prendere un treno o occupare la sua cattedra di insegnante, e molto altro, compresi sintomi di intolleranza anche verso le posizioni contrarie alla vaccinazione di massa e impegnate nella propaganda no vax; sbaglia chi crede che queste limitazioni della libertà individuale siano effetto di un complotto politico planetario, è un’idea grottesca, ma sbaglia chi non rileva la novità del fenomeno e non riflette sul suo significato. “Vietato vietare” è stato un dogma sottopelle da cui furono influenzati e perfino regolati, da mezzo secolo in qua, i comportamenti più vari: dal sesso al genere alla dialettica familiare ed educativa all’apprendimento scolastico alla ricerca fino a tutto l’insieme delle relazioni civili in ogni campo, compresa la politica. Ora questa verità di fede è sottoposta alla prova di un’emergenza prolungata, profonda, che chiama in causa l’essenza o la sostanza razionale di ciò che è un individuo dentro un nesso di società. I rischi sono evidenti e fanno da contrappeso, sulla bilancia del senso comune, ai lampanti benefici in termini di efficienza del sistema economico e produttivo, di costrizioni minori in rapporto a limitazioni maggiori come i lockdown, di libertà dalla paura e dalla paralisi di istituzioni decisive come la scuola e lo stato stesso. Ma c’è un solo modo di preservare il nucleo vivo della cultura e dell’esperienza di libertà civile dell’occidente democratico: sapere, essere consapevoli, che sull’altare dell’emergenza, con le procedure dell’autogoverno, all’integralità e assolutezza della nostra libertà abbiamo decisamente rinunciato.