La destra, la sinistra e l'ingenuità sentimentale di restare fedeli agli ideali della propria gioventù
Nell'ultimo libro di Roberto Della Seta si capisce meglio che la vita, storica e politica, è il contrario di una nomenclatura pietrificata. E che sinistra e destra sono certo distinguibili ma hanno sempre comunicato tra loro
Torno su una storia scabrosa di eretici e rinnegati, lo faccio da specialista del ramo, parlando di uno storico che ne è specialista a diverso e più nobile titolo. Prima devo segnalare una questione.
Paolo Spriano fu lo storico del Pci, venuto dalla crisi dell’azionismo giellino, pubblicò con Einaudi, era diventato un uomo di establishment, malgrado il suo dissenso sulla repressione della rivolta ungherese nel 1956, e militò per decenni nel mitico Comitato centrale del partito. A Spriano fu consentito, nel mondo precedente alla caduta del Muro di Berlino (morì subito prima), un grado relativo ma solido di autonomia nella ricerca; non ne abusò mai, in certi casi dissimulò, in altri si spinse fino al limite mai oltrepassato della rottura con le verità ufficiali e d’apparato, il che allora non era poca cosa. Il suo metodo è assimilabile a quello di certi filosofi e scrittori politici classici ritratti da Leo Strauss (1899-1973), con particolare attenzione nel suo “Persecution and the Art of Writing” (in italiano “Scrittura e persecuzione”, Marsilio), una collezione di saggi degli anni Cinquanta. Sostanza: scrivevano tra le righe, per i loro cuccioli o allievi, ciò che pensiero e potere politico dominante o altre coazioni convenzionali non li avrebbero lasciati liberi di esprimere.
Tra gli allievi di Paolo Spriano c’è Roberto Della Seta, conosciuto di più come ambientalista originario e serio, ora di nuovo storico. Ha pubblicato per Franco Angeli un corposo saggio storico su un tema incandescente, i passaggi da sinistra a destra, fascismo compreso, tra Otto e Novecento, questione scabrosa in particolare per lui che è parte autonoma di un establishment di sinistra, come fu per Spriano. Tutto è cambiato dall’epoca del suo discepolato, il giovane storico avrebbe potuto elaborare il proprio tema in forme scandalose e provocatorie, senza conseguenze troppo imbarazzanti e minacciose, ma nelle imprese di conoscenza e ricerca prevale il metodo, e il metodo per i migliori resta quello del maestro. Se devi affermare una tesi politicamente revisionista, che va contro il canone storiografico riverito e accettato, fa’ in modo che emerga dai fatti raccontati e documentati e dallo stile con cui li racconti, meglio una logica delle cose incompatibile con i pregiudizi piuttosto che il pugno nell’occhio suscettibile di ribadirli.
Veniamo al dunque. Nel Novecento, a partire dalla coda del secolo precedente, parecchi polemisti, giornalisti, saggisti, scrittori, filosofi, poeti, attivisti e intellettuali, oltre che politici di professione e vocazione, sono passati dal rosso al nero: il saggione di Della Seta ha per titolo “Dal rosso al nero” e per sottotitolo “Cento anni di socialisti e comunisti passati a destra”.
(Un capitolo finale, corposo esigente e equilibrato, è dedicato a chi scrive, ma chi scrive non ne parlerà per evidenti ragioni di vanità personale e di improcedibilità, visto che nessuno è giudice in causa propria).
La tesi di Della Seta è semplice e viene fuori da una trama complessa di fatti magistralmente trascritti e di giudizi chiari, alcuni dei quali tra le righe o between the lines. L’opportunismo e la gola sono elementi fissi del panorama esistenziale delle vite pubbliche, e questo può valere per tutti e per ciascuno, ma ognuno dei rinnegati, perfino un Pierre Laval, il primo ministro di Vichy che si segnalò per le retate antiebraiche e fu fucilato per alto tradimento dai vincitori della guerra, ebbe per così dire le sue ragioni dell’istinto e della cultura politica che la ragione etica astratta non conosce.
Questo deve fare uno storico: entrare nelle storie che racconta e nel loro contesto, e separare la casistica mutevole della realtà dalle linee fisse della falsa coscienza o ideologia, in particolare del senno del poi, e comprendere politicamente ciò che non si può in certi casi eticamente spiegare e men che meno giustificare. Della Seta informa su come si passa dal cosmopolitismo sans patrie dei dreyfusardi al nazionalismo, dall’antimilitarismo all’interventismo nei paraggi della Grande Guerra; come Mussolini inventa il fascismo a partire da una versione socialista révolté e romagnola della rivoluzione; com’è che il popolarissimo polemista Gustave Hervé (“il polemismo è l’unica militanza che non ha mai cambiato”, nota con finezza Della Seta) passa dall’antinazione a una visione tradizionalista e paternalista di socialismo nazionale, senza diventare un fascista; come i socialisti rivoluzionari, antimaterialisti e antindividualisti in nome del volontarismo soreliano, dell’autorganizzazione delle masse e dell’azione diretta, sfumano in un aperto fascismo reazionario e rivoluzionario o nella sua area di contiguità; e come i fatti cambiano le idee che a loro volta influiscono sul decorso degli avvenimenti, fino allo sdoppiamento delle personalità perfino nel mondo oscuro del collaborazionismo con i nazisti a Vichy, come quello di Laval che rastrella gli ebrei per il mattatoio dei lager e al tempo stesso ne salva un discreto numero di nazionalità francese, il tutto in un turpe contesto nazional-ideologico che coinvolse nell’ambiguità perfino uno dei fondatori dell’Ordine nuovo di Gramsci, Angelo Tasca.
La verità di Della Seta, cui ci si accosta con la medesima cautela del suo metodo di ricognizione su cento anni di storia europea, è che sinistra e destra esistono certo e sono distinguibili di volta in volta con prudenza interpretativa ma hanno sempre comunicato tra loro, si sono scontrate, avviluppate, metamorfosate intorno alla definizione di ciò che è classe, nazione, patria, intorno alle pulsioni della pace e della guerra, dell’intransigenza e del compromesso, della personalità intellettuale singolare e dei processi di massificazione che hanno interessato non solo le élite ma anche giganteschi travasi elettorali e di consenso. Tra questi vasi comunicanti ci sono l’antisemitismo, il rifiuto della democrazia liberale, il pacifismo e l’anticomunismo, miscugli esplosivi di identità e di equivocità che si prolungano fino alle vicende meno eroiche e spesso grottesche dei nostri giorni di mésalliance tra rossobruni di diverse risme che si ribellano all’elitarismo della sinistra statalista e protettiva in nome di varianti populiste e incubi complottisti di vario ordine.
Letto Della Seta, e non è l’ultimo dei meriti di questa lettura, uno capisce meglio che la vita, la vita storica e politica, è il contrario di una nomenclatura pietrificata, nomi e cose cambiano di pari passo, e che solo a prezzo di una qualche ingenuità sentimentale si può restare bellamente e serenamente fedeli agli ideali della propria gioventù.