Dibattito tra i dem
Il Pd deve fare sua l'agenda Draghi, dice il senatore riformista Alfieri
Nel partito guidato da Letta ci si domanda cosa fare dell'esperienza di governo e come trarre un vantaggio elettorale da questa. Per Cuperlo servirebbe però anche "un'agenda Pd"
Intestarsi l’agenda Draghi. L’obiettivo dev’essere questo? Lo è per il ministro pd della Difesa Lorenzo Guerini e non solo, tanto che all’interno del partito la minoranza riformista sobbalza ogni volta che il segretario Enrico Letta sottolinea l’alleanza con il M5s, in vista delle amministrative, mettendo l’accento su temi per così dire dibattuti nella maggioranza di governo proprio a partire dall’aderenza o meno all’agenda Draghi (a partire dalla patrimoniale con dote per i diciottenni). Ma qualche giorno fa il presidente della Fondazione pd Gianni Cuperlo, in un editoriale sul Domani, scriveva che il Pd, al di là dell’agenda Draghi, ha bisogno di “un’agenda propria”. Si indovina quindi un semestre bianco in cui queste due linee porranno più volte il partito di fronte a una scelta.
Come procedere? Da Base Riformista il senatore pd Alessandro Alfieri ribadisce l’idea di un salto netto a favore dell’agenda Draghi: “Io penso si debba stare completamente nel perimetro declinato dal premier al momento di illustrare il programma di governo. E penso si debbano tenere come punti di riferimento parole come europeismo – nel senso che gli interessi dell’Italia si difendono a Bruxelles – e atlantismo. E ancora: progressività fiscale, sviluppo sostenibile, riforma della giustizia”.
Più che un’agenda, dice Alfieri, si tratta di un metodo che permette “di rendersi credibili in Europa, non facendosi condizionare da spinte contrapposte. Quelle di Draghi sono parole che rispecchiano le nostre battaglie, non dovrebbero porre problemi di identità”. Ci sono però, sulla strada del governo Draghi, temi divisivi che potrebbero, nei prossimi sei mesi, metterlo alla prova, per esempio l’immigrazione. “Il nostro partito, in questo quadro”, dice Alfieri, “oggi deve fare di tutto per rassicurare un ceto medio frastornato e impoverito dalla crisi, e in quanto tale spaventato, e aiutare famiglie e imprese. E ci vuole coesione nel sostenere Draghi anche oltre il Pd. Si può capire che Matteo Salvini sia in crisi di consensi per la competizione con Fratelli d’Italia, ma non si può fare della critica al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese un vessillo, come il leader della Lega invece sta facendo, in maniera prepotente, come per ridisegnare le priorità. Così si rischia di spostare l’attenzione dai veri problemi e indebolire l’azione del governo in un momento cruciale”.
Per procedere in direzione riformista, però, c’è chi invoca l’unità dei riformisti, con tanto di riavvicinamento al Pd, per esempio, di Carlo Calenda. “Mi sembra che i fatti abbiano già parlato e non sia mancata un’unità d’intenti nel fronte riformista sul sostegno al governo Draghi”, dice Alfieri, “e sono sicuro che i fatti lo dimostreranno ancora. Certo, dopo le amministrative si dovrà cominciare a pensare al 2023, e io credo si possa intanto riflettere sugli errori del passato, prima di tutto sull’aver perseguito a tutti i costi un certo bipolarismo di tipo muscolare, in cui il collante delle coalizioni era prima l’antiberlusconismo, poi l’antigrillismo e così via. Sarebbe importante, avendo davanti la questione legge elettorale e l’elezione del presidente della Repubblica, cominciare a interloquire sui contenuti, su idee concrete, e proprio a partire dalle idee concrete si capirà via via chi potrà essere l’interlocutore”.