Giorgetti boccia la rincorsa a Meloni: "E' da sciocchi". E al Senato la Lega sbanda
I colloqui del ministro dello Sviluppo con gli imprenditori. "Dovremmo far pesare che siamo al governo, che gestiamo i soldi del Recovery". E invece Salvini teme la concorrenza a destra. I ceffoni di Lamorgese al Carroccio, che intanto a Palazzo MAdama viene salvato dalla fiducia
Tutto starebbe, per Giancarlo Giorgetti, a riconoscere l’inutilità della rincorsa. “Ché inseguire la Meloni all’opposizione ma stando al governo è sciocco”, dice il ministro dello Sviluppo. E del resto, che a furia di scantonare si rischi il cappottamento, se ne è accorto giorni fa anche Massimiliano Romeo, capo della Lega in Senato, che a un certo punto ha chiesto a Federico D’Incà l’impensabile. “Meglio la fiducia, sennò i miei sul green pass non li tengo”, ha sibilato Romeo all’orecchio del ministro grillino per i Rapporti col Parlamento. Il quale, stremato da settimane di passione e di scempiaggini leghiste intorno ai vaccini, è quasi sobbalzato. “Ma se ci mettessimo a votare gli emendamenti di Fratelli d’Italia – ha spiegato Romeo – mi ritroverei con una parte dei miei senatori che li sosterrebbe”.
Un po’, insomma, quello che era successo una settimana prima alla Camera. Dove comunque l’imbarazzo del Carroccio s’è riproposto anche mercoledì sul processo politico inscenato nei confronti di Luciana Lamorgese. La quale aveva deciso di riferire a Montecitorio, sollecitata dai deputati meloniani, circa i fattacci relativi al rave di Viterbo. Solo che a quel punto, fiutando l’occasione ghiotta e non sapendo che abito mettersi, i leghisti sono corsi ai ripari: “Facciamo anche noi un’interrogazione sull’omicidio di Rimini”, ha insistito Jacopo Morrone, segretario della Lega in Romagna, rivendicando a sé la sua parte di ingiurie verso la ministra dell’Interno. E però intanto quello stesso paradosso espresso da Giorgetti – l’idea insomma che la rincorsa alla Meloni da parte di Salvini ricordi un po’ l’inseguimento di Achille alla tartaruga, o il vano affanno degli ignavi danteschi dietro l’insegna beffarda – era Ignazio La Russa, vecchia volpe, a esprimerla col sorriso sotto i baffi. “La tattica della Lega? E’ un po’ il vorrei ma non posso. Vorrebbero raddrizzare la barra del governo Draghi su vaccini e immigrazione, ma non possono perché sono in minoranza nell’esecutivo. Vorrebbero allora fare opposizione, ma non possono perché stanno in maggioranza”. Federico Mollicone, altro pretoriano della Meloni, provava a dispensare diplomazia: “Diciamo che apprezziamo le distonie leghiste rispetto al coro che sostiene Draghi. Ma sappiamo che loro più di tanto non possono distinguersi”. E in effetti la fotografia era fin troppo esplicativa, fuori da Montecitorio: coi deputati leghisti che stavano a interrogarsi sull’opportunità di proseguire in questa inconcludente guerra di logoramento alla responsabile del Viminale, e quelli meloniani che, più sbrigativamente, esibivano uno striscione lungo cinque metri con su scritto “Lamorgese dimettiti”.
Una sceneggiatura che poi si replicava anche in Aula. Perché, mentre il meloniano Francesco Lollobrigida accusava Lamorgese perfino di aver provocato la perdita di latte nelle vacche di Valentano annichilite dalla musica troppo alta, il leghista Riccardo Molinari si vedeva costretto a misurare bene le parole, visto che, peraltro, nella chiusura del suo intervento la ministra dell’Interno aveva appena ricordato che “nel 2018 e 2019 si sono tenuti alcuni rave assolutamente raffrontabili a quello di Viterbo”: da Macerata a Montalto di Castro, da Moncalieri ad Alessandria, tutti casi in cui si decise di non intervenire con la forza, ai tempi in cui al Viminale c’era Salvini.
Un balbettare, quello leghista sulla Lamorgese, che in fondo riflette lo stesso disorientamento che ha caratterizzato l’atteggiamento del Carroccio sul green pass. E così, dopo settimane di impuntature e di minacce, il massimo dell’opposizione trucista al certificato verde s’è concretizzato in una manciata di voti in dissenso in commissione Cultura e Affari sociali, il tutto mentre in Cdm i ministri con la spilla di Alberto da Giussano assecondavano la linea rigorista e pragmatica di Draghi. Non a caso, del resto. Perché, a sentire Giorgetti, è proprio nell’assumersi fino in fondo la responsabilità di governo, e non nello scimmiottare slogan da opposizione, che la Lega dovrebbe vincere la sfida a destra con la Meloni. “Dovremmo far valere la nostra vicinanza a Draghi, che peraltro è anche in cima alle graduatorie di consenso. Dovremmo far pesare il fatto che noi gestiamo i soldi del Recovery, che facciamo le riforme”. Questo ripete il ministro dello Sviluppo ai suoi fedelissimi e agli imprenditori che lo interpellano. E invece? E invece si va dietro alla Meloni…