L'intervista
“Il voto digitate sulla cannabis è seducente ma problematico”, ci dice Flick
"Su questioni complesse l’alternativa secca sì o no non funziona. Non basta. Il referendum dovrebbe limitarsi a un intervento abrogativo. L’idea della democrazia diretta non mi piacerà finché non saprò da chi e dove sia diretta". Parla il presidente emerito della Consulta
“Talvolta un sì o un no secco non basta perché non rispecchia la sostanza dei problemi”, parla così al Foglio il presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick. Non c’è verso di sapere quale sia l’opinione del giurista sul merito del referendum sulla cannabis, ma Flick si sofferma sul metodo referendario e sulla novità che ha consentito di raccogliere 330 mila firme in 72 ore. Merito del quesito o della firma digitale? “Azzardo a dire che hanno contribuito entrambe le componenti, non so in quale percentuale – risponde il presidente – Costantino Mortati, padre costituente, diceva che il referendum è una ‘martellata al sistema’, un esercizio di contropotere. Il problema è che, con l’indebolimento dei corpi intermedi e dei partiti, il dialogo fra Parlamento e popolo si è interrotto, emerge allora il conflitto. Il popolo dice: queste legge non va, abroghiamola. Ma entrambe le posizioni non vanno delegittimate, e il nostro sistema costituzionale, con la saggezza insita nell’articolo 1 della Costituzione che affida la sovranità al popolo da esercitare ‘nelle forme e nei limiti’ della carta fondamentale, non può percorrere una strada diversa”.
La firma digitale con Spid o piattaforme alternative garantisce i medesimi standard di affidabilità rispetto al banchetto con l’autenticatore in persona? “Il ricorso alla digitalizzazione è positivo e inevitabile, di esso però vanno considerati gli aspetti sia seducenti sia problematici. Quale che sia lo strumento, va assicurata l’identificazione personale scongiurando i rischi di cessione della propria identità o di duplicazione della firma”. Anche la campagna referendaria sull’eutanasia ha avuto un’accelerazione grazie alla firma digitale. “Io penso che, in generale, su questioni complesse l’alternativa secca sì o no non funzioni. Non basta. Il referendum dovrebbe limitarsi a un intervento abrogativo ma, come sull’omicidio del consenziente, si propongono quesiti che, a forza di taglia e cuci, non si limitano ad abrogare ma creano una norma ex novo, frutto di manipolazione”.
Lo strumento digitale potrebbe rinverdire la stagione della democrazia diretta? “L’idea della democrazia diretta non mi piacerà finché non saprò da chi e dove sia diretta. Mi pare che anche i tentativi italiani, in epoca recente, non siano stati entusiasmanti. La democrazia rappresentativa, pur con i suoi limiti, resta la forma di governo meno peggiore possibile”. Con la corsa alla firma digitale, sarebbe auspicabile l’innalzamento dell’attuale quorum delle 500 mila firme? “Potrebbe essere opportuno, seppure non risolutivo, dal momento che l’indicazione in Costituzione di quella cifra rappresentava il tentativo di calibrare la base necessaria per la promozione del referendum alla popolazione dell’Italia del 1947. Ma non basta, così come non basta la proposta di anticipare il controllo sull’ammissibilità”.
Per gli italiani la cannabis è una prepotente urgenza? “Di certo, incide il voto dei giovani che s’interessano a una dimensione politica levandosi dal torpore e dall’indifferenza di cui li accusavamo. Il rovescio della medaglia è il digital divide per gli anziani ma, rientrando io in questa categoria, se prendessi posizione sarei imputabile per interesse privato in atti d’ufficio”. Non ho capito però se lei è favorevole o contrario. “Il mio orientamento non interessa e lo tengo per me, è interessante invece notare che nel dibattito sulla cannabis i profili tecnici sono stati sopravanzati da quelli politici. Si è politicizzato il problema e questioni rilevanti come l’assuefazione, la dipendenza, il legame con la criminalità sono state assorbite da valutazioni di carattere politico”.