Viaggio intorno alle riforme
Il calendario di tutte le riforme Draghi fino al 2026
Tra mercoledì o giovedì la prima cabina di regia politica che riguarda il piano nazionale di ripresa e resilienza
Le misure collegate al Pnrr sono un viaggio che cambierà l'Italia e che ha una data precisa. Ministero per ministero, ecco quali saranno le prossime sfide che attendono il premier, destinato a rimanere al governo. Un sussidiario di riforme cadenzato
In un documento di ventisette pagine c’è il racconto dell’Italia moderna. In un documento di ventisette pagine c’è il lungometraggio del paese domani, il paese 2026. Immaginate un sussidiario di riforme e per ogni riforma la data di attuazione. Immaginate di trovare, ministero per ministero, le chiavi che permettono di “aprire” il Pnrr. Chi solo vagheggia elezioni traumatiche, chi coltiva l’idea che a Palazzo Chigi un uomo valga l’altro, deve leggere con attenzione il cronoprogramma della presidenza del Consiglio collegato al Pnrr. Si tratta di un abaco di riforme fitto e puntuale. Non è eccesso di draghismo. Chi se non Mario Draghi, un governo di natura eccezionale, un “soprasegretario”, come Roberto Garofoli, possono assicurare all’Europa che quello che occorre sarà fatto? Ecco perché sarà difficile che Draghi lasci la guida del governo. Quello che si propone non è un “overview” come dicono gli inglesi. E poi perché tutto questo inglese, come suggerisce il nostro premier? Chiamiamolo itinerario 2026. Negli uffici viene chiamato “Italia Domani”. E’ questo il fascicolo, il buon memorandum dell’esecutivo. E’ sui tavoli di tutti i ministri e questa settimana, tra mercoledì o giovedì, sarà sul tavolo di quella che potrebbe essere la prima cabina di regia politica che riguarda il Pnrr.
La riforma della giustizia e quella della Pa, sono le riforme più note e già realizzate. Non ci sono riforme che “mancano” da qui a fine dicembre 2020. Chi lo dice usa una frase scorciatoia. Ci sono riforme programmate con un’Europa che, per una volta, non ci guarda con sospetto. E’ un’altra cosa. L’ambizione è infatti maggiore. Il 2020? Il calendario di lavoro ha come orizzonte il 2026. Camminiamo adesso per ministeri e cominciamo questo modesto racconto.
Andiamo al Mims di Enrico Giovannini. Entro fine dicembre del 2021 le riforme da incassare riguardano la mobilità sostenibile. La riforma 4.1 prevede “l’adozione di una normativa che attribuisca competenze chiare per l’approvazione dei progetti di trasporto pubblico locale”. Un’altra, importantissima, modifica l’iter di approvazione dei progetti ferroviari. Dovrebbe portare la durata dell’iter di autorizzazione dei progetti da 11 a 6 mesi. Nel 2022 attenzione ai porti. Sarà l’anno in cui verrà attuato il “regolamento che definisce l’aggiudicazione competitiva delle concessioni nelle aree portuali”. Nello stesso anno nuovo approccio per i rifiuti. Ma siamo già a casa del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. L’obiettivo per il 30 giugno 2022? Avere un nuovo “sistema di tracciabilità digitale dei rifiuti”.
Nel 2023 si vuole una riforma che favorisca le energie come biometano pulito e idrogeno. Dunque entro il 31 marzo 2023 “una riforma che consiste nell’entrata in vigore di un quadro giuridico teso a promuovere l’idrogeno come fonte rinnovabile”. L’anno successivo si dovrebbe finalmente “semplificare la procedura degli impianti rinnovabili”. E ora entriamo invece al ministero della Sanità guidato da Roberto Speranza. Due le riforme da agguantare. La prima ha questa dicitura: “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario”. Ricordate quando in Calabria i dati dei malati di Covid venivano spediti a mano su foglietti di carta? Il futuro è la telemedicina. La prima riforma non può che essere “la definizione di un nuovo modello organizzativo delle rete di assistenza sanitaria”. Entro quando? Entro il 30 giugno 2022. E poi altra riforma “per riorganizzare la rete degli istituti di ricovero e di cura a carattere scientifico per migliorare la qualità del servizio sanitario nazionale”. Anche questa a fine 2022. Spostiamoci a Trastevere dove lavora il ministro Patrizio Bianchi. Draghi ne aveva già parlato durante il suo insediamento. Una riforma sempre più imminente è la riforma degli “istituti tecnici e professionali” ma nello stesso tempo si dovrà lavorare a una riforma che agisce “sul sistema di istruzione primaria e secondaria”. Serve tempo. Il 31 dicembre 2023 dovremmo tuttavia farcela. Il risultato? “Adeguamento del numero degli alunni per classe” e “revisione delle norme relative alle dimensioni degli edifici scolastici”. E sempre nel 2023 si immagina “una scuola di alta formazione e formazione obbligatoria per i dirigenti scolastici, docenti e personale amministrativo”. Il passo è di lato. L’università. Cosa accade al ministero della professoressa Maria Cristina Messa? Qui c’è un appuntamento imminente. La riforma da fare al più presto, entro la fine dell’anno, deve portare a un potenziamento nell’offerta di alloggi per studenti. Contenuto del progetto: “Incentivare la realizzazione, da parte dei soggetti privati, di strutture edilizie universitarie. L’obiettivo è quello di triplicare i posti per gli studenti fuorisede, portandoli da 40.000 a oltre 100.000 entro il 2026”. E ora al Lavoro, quello di Andrea Orlando.
Governo Draghi, quando ci sarà la riforma degli ammortizzatori sociali?
E’ prossima la riforma degli ammortizzatori sociali. Il governo ha creato il programma di “Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol)” che consentirà di fornire servizi su misura ai disoccupati. I beneficiati da questo piano dovrebbero essere tre milioni di disoccupati entro il 2025. E sempre per quella data si vuole un ammodernamento dei centri per l’impiego. Per la fine del 2022 qualcosa che non è solo di sinistra ma che è giustamente una bandiera di sinistra. E allora “Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso”. Non allontaniamoci. Un salto al Mise di Giancarlo Giorgetti, il filosofo del lago, il leghista di responsabilità. Crisi industriali da risolvere, la transizione da Alitalia a Ita da governare sono senza dubbio le sue preoccupazioni. Ma anche il suo ministero ha in calendario una riforma poderosa. E’ quella che vuole rivedere il codice della proprietà industriale. Perché farla? “Per tutelare i diritti di proprietà e semplificare le procedure. Rafforzare il sostegno agli istituti di ricerca, e agevolare il trasferimento delle conoscenze”. Fine 2023.
Bussiamo adesso al Mef guidato da Daniele Franco, meglio, come dicono a Palazzo Chigi, “dall’ottimo Franco”. Per il 2023, marzo, si ragiona su “nuove norme per ridurre i tempi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni agli operatori economici”. Se davvero si riuscisse sarebbe tantissimo. L’obiettivo è far abbassare i tempi di pagamenti perché “la media ponderata deve essere pari o inferiore a 30 giorni”. Più stringente “la lotta all’evasione fiscale dovuta all’omessa fatturazione”. Si può agire con “incentivi mirati per consumatori”. E questo da subito entro fine anno. Si collega all’entrata in vigore “delle disposizioni per migliorare l’efficacia della revisione della spesa”. Detto in maniera più semplice: spending review. Anche questo entro fine dicembre 2021.
Più impegnativo è quanto viene fissato per giugno 2023 ovvero che almeno 2 e milioni e mezzo di contribuenti “debbano ricevere dichiarazioni Iva precompilate per l’esercizio fiscale 2022”. Dal Mef al ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale di Vittorio Colao. Portiamoci avanti. Per il 31 dicembre del 2022 si deve raggiungere “la trasformazione digitale di tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, mediante l’istituzione di un ufficio specifico per la trasformazione digitale della Pa”.
Da afferrare entro dicembre 2021 è la riforma della ministra Mara Carfagna. Riguarda le zone economiche speciali ovvero Zes. Non è un brutto acronimo. Tutt’altro. Sono zone del sud dove le aziende possono beneficiare di condizioni vantaggiose. Ebbene, si devono dare più poteri ai commissari per fare decollare queste piccole aree. I ministri Renato Brunetta e Marta Cartabia ci perdoneranno invece se la visita ai loro ministeri è veloce. Perché veloce? Perché sono stati i primi a spingersi nel cammino delle riforme. Le loro devono solo andare a regime. Finiamo allora questo viaggio, sicuramente sommario e incompleto, con le riforme della presidenza del Consiglio dei ministri, quelle del segretariato generale. 30 giugno 2022: entrata in vigore del codice riveduto dei contratti pubblici. Un anno dopo devono essere varati tutti i provvedimenti attuativi che riguardano la riforma/semplificazione del sistema degli appalti pubblici. Nel 2023 si deve fare questo: “Riduzione del tempo medio tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione dell’appalto e tra aggiudicazione e realizzazione dell’opera”. Quest’ultima riforma è già popolare. E’ la riforma della concorrenza. Ovvio che sarà complesso arrivarci, come ha spiegato Garofoli al Foglio e che l’approccio dovrà essere “originale” (parola che ama “il soprasegretario”). Ma si deve fare “e con cadenza annuale” perché “aumenterà le procedure competitive di aggiudicazione degli appalti per i servizi pubblici locali”. Eviterà l’ingiustificata proroga delle concessioni per porti, autostrade… Cosa volevamo dimostrare? Che il modo peggiore è leggere queste riforme come dossier. Un altro modo è leggerle come fosse un’avventura da argonauti, ogni ministero piccolo legno nel mare. Draghi è il compasso, quello che in nautica viene chiamato il “frangente”. Il Pnrr è la mappa.