verso le amministrative

Il M5s a Torino mette a rischio la strategia di Letta sui ballottaggi (e su Conte)

Valerio Valentini

L'ex premier e la Appendino escludono il sostegno al Pd per il ballottaggio. Boccia rassicura i suoi: "vedrete che Giuseppe alla fine cederà". Ma all'indomani del voto, col Movimento ridotto a forza marginale, i dem sabaudi temono falli di reazione. Al Nazareno si inizia a dubitare dell'affidabilità dell'avvocato di Volturara

Ai responsabili locali del Pd, insofferenti per il continuo minacciar sfracelli da parte del M5s, Francesco Boccia ha offerto rassicurazioni. “Vedrete che alla fine, dopo i risultati del primo turno, Giuseppe Conte smetterà questa posizione ambigua e garantirà il suo appoggio al nostro candidato per il ballottaggio”. Anche per questo, insomma, il responsabile Enti locali del Nazareno, investito da Enrico Letta del compito di tessere la trama rossogialla in vista delle amministrative, è andato a Torino due giorni fa: per invitare i dirigenti sabaudi del partito a non prendere troppo sul serio  le dichiarazioni di ostilità lanciate dal nuovo leader grillino.
Sta di fatto, però, che questa più o meno onesta dissimulazione da parte dell’ex premier sta davvero aizzando gli animi del M5s sotto la Mole. Perché, dopo il mancato accordo su un candidato unitario, Chiara Appendino ha spinto Giuseppe Conte a sposare la linea oltranzista, di disperata terzietà: “Noi non faremo nessun appello per il ballottaggio”, ripetono ora in coro la sindaca uscente talmente convinta di poter difendere la bontà del suo operato che ha deciso di non ripresentarsi, e il fu avvocato del popolo che vive questa scelta del Pd come uno smacco personale, e dunque s’irrigidisce.

 

S’irrigidisce a tal punto, però, che una parte di M5s torinese inizia a scalpitare. E, tra gli altri, scalpita anche Valentina Sganga: la candidata scelta come candidata sindaco dalla base e che da qualche giorno ha preso a dire senza pudore, nel corso delle iniziative elettorali, che “io con questa destra non avrò mai nulla a che fare”. Il che risolve ogni incertezza: perché tolta la destra, non resta che il Pd di Stefano Lo Russo. Il quale, malignano alcuni, proprio con la Sganga avrebbe già un’intesa di massima. Il tutto, in un cortocircuito di disorientante surrealtà, perché la Sganga rappresenterebbe in teoria quel grillismo ortodosso che proprio alla Appendino ha contestato a lungo l’eccessivo appeasement nei confronti del Pd, e che però ora, di fronte agli ammiccamenti della sindaca alla destra, s’impunta e s’arrovella. Negli stessi giorni in cui Appendino, che del grillismo si voleva fosse il volto umano, pur di non agevolare la vita a quel Lo Russo che per cinque anni ha guidato un’opposizione severissima alla sua giunta, s’è messa a rispolverare i vecchi slogan del “né con la destra né con la sinistra”.  

Un’inversione di ruoli, in questa scombiccherata commedia delle parti a cinque stelle, in cui rischia di finire impelagato anche Conte, e con lui l’intera ipotesi dell’alleanza demogrillina. Perché forse è vero quel che Boccia ha ripetuto ai suoi compagni di partito, e cioè che lui conosce “Giuseppe come persona ragionevole”, per cui “al dunque, davanti all’evidenza, anche lui saprà da che parte stare”. Solo che l’evidenza, nella fattispecie, è il tracollo elettorale del M5s: che a Torino, nella città dove un lustro fa ha spodestato il dominio storico del centrosinistra, ora vagheggia la doppia cifra come una chimera salvifica. “Ma in realtà, sarà già tanto se stiamo sopra il 7 per cento”, s’è sentito dire Conte dai suoi referenti locali. E insomma all’indomani del primo turno l’ex premier potrebbe ritrovarsi ancor più impotente, costretto a negoziare da una posizione di estrema debolezza quel che non ha voluto trattare alla vigilia. Tanto più che Lo Russo, forse fiutando l’aria di disfacimento del M5s in città e nelle periferie, s’è premurato, a fine agosto, di stringere un accordo coi centristi di Calenda e dei Moderati che lo impegna, con tanto di lodo scritto nero su bianco (ah, meravigliosa inutilità dei contratti elettorali), a non coinvolgere il M5s nella sua eventuale futura giunta. Insomma nel Pd locale – specie tra quanti, al contrario di Lo Russo, auspicano con sincero trasporto, da sinistra, l’intesa organica col grillismo – c’è chi teme davvero un fallo di reazione da parte di Conte, di quelli che precedono la resa incondizionata. Certo, Boccia ha rassicurato tutti dicendo che “insistere sulla necessità dell’alleanza col M5s serve anche a far emergere le divergenze che esistono dentro il M5s”. Ma che succede, se quello che dovrebbe essere il garante dell’intesa, il punto di riferimento fortissimo dei progressisti, si ritrova dalla parte sbagliata della barricata? 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.