Franceschini ci spiega come si fa a mangiare con la cultura

Salvatore Merlo

Si sente di guidare “il ministero economico più importante del paese”, punta su un ritorno della normalità a breve nei teatri e nei musei, dice di non ambire al Quirinale. Il ministro dei beni culturali al Festival dell’Innovazione

Al festival dell’Innovazione del Foglio, a Venezia, è intervenuto anche il ministro della Cultura Dario Franceschini, al quale abbiamo ricordato l’appunto di qualche giorno prima del ministro Cingolani sulle soprintendenze. “L’Italia fa la svolta green, facciamo investimenti, dobbiamo installare le pale eoliche e sostituire le centrali a gas. Però, in tutta Italia, le regioni hanno problemi con le soprintendenze perché esistono vincoli paesaggistici che sono troppo stringenti”, ha dichiarato Cingolani, parlando addirittura di “radical chic dell’ambientalismo”. Ha ragione?

   

     
Dario Franceschini: Va molto di moda prendersela con le soprintendenze. In realtà l’Italia esporta nel mondo perché alle spalle c’è la sua bellezza, la sua arte, la storia, la cultura, il paesaggio, che è tutelato dall’articolo 9 della Costituzione. Siamo l’unico paese che ha inserito la tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio nei princìpi fondamentali della propria Carta costituzionale. Abbiamo una legislazione di tutela molto antica che risale agli stati preunitari, alla legge del 1939, e quindi le soprintendenze hanno applicato questa normativa che ha consentito di vincere la battaglia del Novecento, e cioè tutelare i centri storici, le coste. Altrimenti, sarebbe avvenuto quello che è successo in altre parti del mondo, pensiamo alle coste spagnole. Tutelare il paesaggio è un dovere costituzionale e le soprintendenze fanno bene a continuare a farlo. Poi ci sono comportamenti giusti e comportamenti sbagliati, ma questo capita anche tra i medici, tra i giornalisti, tra gli scienziati. Non è che se un medico fa male il suo lavoro propongo di chiudere gli ospedali. Cingolani lo sa benissimo: abbiamo inserito concordemente, nelle norme che hanno accompagnato il Pnrr, una soprintendenza unica nazionale che sostituirà quelle territoriali per le grandi opere, quelle che attraversano il territorio, per evitare che su ogni tratto di un elettrodotto o di una strada ci sia un parere diverso. Abbiamo liberalizzato la sostituzione delle pale eoliche e quella delle antenne del 5G con quelle precedenti. Abbiamo fatto dei passaggi. Ma da qui a parlar male delle soprintendenze andrei molto cauto: hanno salvato il paesaggio e i centri storici”.

 
Quindi la forza economica dell’Italia non sono soltanto l’energia, l’industria e le pale eoliche, ma anche la cultura. “Sono diventato ministro ormai qualche tempo fa. Ai suoi colleghi che mi chiedevano come ci si sentisse a fare il ministro della Cultura, sapendo che avevo già fatto altre cose, ho risposto: ‘Mi sento chiamato a guidare il ministero economico più importante del paese’, e la penso ancora così. Il nostro paesaggio, il nostro patrimonio storico-artistico non richiamano solo turismo – e sappiamo quanto porti il turismo in termini di crescita.  Richiamano anche investimenti, vendita del made in Italy: quando tutto il mondo compra il prodotto anche apparentemente più lontano dalla cultura, che sia una scarpa, un prodotto alimentare o un qualsiasi oggetto italiano, chi lo compra ci vede dietro la bellezza, l’arte, la storia, la cultura, l’Italia. Investire, valorizzare e tutelare il nostro patrimonio è un modo per aiutare tutta l’economia, oltre che le esportazioni”.

 
Lei si è battuto in Consiglio dei ministri per riportare i musei alla normalità. Sui treni è già così, questo dà una speranza, significa che forse ne stiamo uscendo. Quand’è che anche musei, cinema, teatri potranno fare lo stesso? Ci può dare una data? “Abbiamo indicato nel recente decreto-legge che entro il 30 settembre il Comitato tecnico scientifico dovrà dare un parere sulla base del quale rivedere le misure relative alla capienza di teatri, cinema, musei, ma anche altri eventi di altro tipo. Durante questi due anni e mezzo di pandemia, anche nel precedente governo, io sono stato sempre identificato come il rigorista assoluto, insieme al ministro Speranza, e in effetti abbiamo sostenuto che nei momenti difficili serviva coraggio per adottare misure rigorose. E’ paradossale che adesso io venga additato come quello che vuole allargare: ho fatto un’osservazione molto semplice, abbiamo ragionato e discusso senza tutti i drammi che vengono dipinti. Si è trattato, come è giusto che sia, di una normale discussione di governo,  in cui ho affermato che nel momento in cui c’è il green pass, i treni sono pieni, si possono fare feste o matrimoni affollati di gente e gli ipermercati sono pieni, non capisco perché in un teatro o in un cinema – dove stai seduto, fermo  per due ore, con la mascherina, dove non puoi mangiare e  non puoi bere –  non ci debbano essere condizioni di sicurezza tali da consentire un allargamento della capienza. Ne va della loro sopravvivenza e anche del fatto che le persone devono poter vivere la loro normalità. Il green pass è una grande cosa, sta funzionando bene. Noi dobbiamo dare anche un segnale e penso che, concordemente, arriveremo ad allargare queste misure: lo chiedono le regioni, il mondo dello spettacolo. Ci arriveremo in modo ragionevole”.

 
Ma quali sono i parametri che osserverete? Cosa dobbiamo guardare? L’indice Rt? Qualora dovessero aumentare i contagi, pensa che comunque si arriverà a una normalizzazione nella fruizione dei musei e delle sale cinematografiche? “C’è una tendenza positiva da qualche settimana, sono stati corretti anche i parametri: si è guardato non soltanto al numero dei contagi, ma anche al numero dei ricoveri, delle terapie intensive. C’è un comitato tecnico-scientifico che da due anni è un punto di riferimento non solo in Italia, ma in tutto il mondo, purtroppo abbiamo fatto da apripista. Penso che guarderemo vari parametri, le condizioni di sicurezza dovranno essere garantite in modo assoluto. Ma io insisto: in queste condizioni, andare al cinema con una persona seduta a fianco non mi pare rischioso”.

  
C’è continuità tra il secondo governo Conte e il governo Draghi? “Il ministro Brunetta (il cui intervento a Venezia ha preceduto quello di Franceschini, ndr) ha parlato di come le cose vadano meglio di un anno fa, ma non ha detto come vanno rispetto a due anni fa. Rispetto ad allora, il cambiamento è stato radicale: eravamo un paese antieuropeista, alleato con il blocco sovranista in Europa, con una gestione totalmente inefficace di tutti i temi, compresa l’immigrazione (che era la bandiera di Salvini). Abbiamo fatto grandi passi avanti con il governo Conte II, adesso stiamo proseguendo l’attività positiva con il governo Draghi e sono assolutamente soddisfatto, convinto, entusiasta dell’azione di questo governo. Ma non facciamo di tuta l’erba un fascio. E’ sempre bene che ci sia continuità nell’azione di governo. Nella gestione della pandemia, per esempio, io ho riscontrato una continuità, al di là di alcuni cambiamenti relativi alle persone che sono diretta conseguenza dei cambiamenti della situazione pandemica. Del resto, è stato riconosciuto all’Italia che il governo precedente ha agito per primo (non avevamo modelli, a eccezione della Cina che tuttavia non dava molte informazioni nell’indicare una strada). Abbiamo agito con coraggio”. 

 

L’altro settore che vuole riaprire è quello delle discoteche. Si è creata una strana dicotomia tra voi e la Lega: loro le difendono, voi parteggiate per i musei. Perché? “Può semplificare così: le discoteche non sono rimaste chiuse… non c’è bisogno di uno scienziato per capire che un conto è passeggiare tra le sale di un museo, un conto è stare seduti in un cinema, un conto è ballare. Il ballo richiede contatto, movimento, è difficile ballare con la mascherina. Richiede affollamento, come lo sono le discoteche piene di giovani… non ci sono valutazioni politiche su queste cose, e poi su ognuna di queste scelte abbiamo sempre consultato il Cts. Non mescoliamo la politica con discoteche e musei”.

 
Ma al cinema a volte si mangia, anzi, quasi sempre. Non verrà data questa possibilità? “Ora i cinema sono aperti a capienza ridotta, tendenzialmente metà dei posti per il distanziamento. Dico ‘tendenzialmente’ perché i nuclei familiari possono sedersi vicini. Ora non puoi mangiare perché non c’è distribuzione di vivande. E non ci sarà neanche con un aumento di capienza. E’  un’ulteriore differenza rispetto ai treni, dove non solo la capienza non è ridotta ma ti portano da mangiare con il carrello. 

 
Il presidente Draghi era d’accordo con lei su questo punto, mi è parso di capire. “Se ne è discusso in Cdm, senza litigare. Sarebbe anomalo se non ci fosse neanche una discussione in un governo come questo, fatto da personalità diverse e da forze politiche lontane fra loro… sarebbe un bruttissimo segnale se non accadesse. Alla fine, Draghi ha proposto la soluzione che è passata, e cioè di chiedere un parere al Cts e decidere tra 15 giorni”.

 
Qui siamo al Festival  dell’innovazione. Lei è stato segretario del Partito democratico. Di quale innovazione ha bisogno il Pd oggi? “Penso che tutta la politica e tutto il paese abbiano bisogno di innovazione, specie in un momento in cui stanno cambiando molte cose. Lo diceva prima il ministro Brunetta: stiamo crescendo più di altri paesi. Io un po’ me l’aspettavo perché abbiamo l’esempio del secondo dopoguerra: l’Italia era un paese distrutto dalla guerra, dalla dittatura, dalla povertà. Gli italiani si sono rimboccati le maniche e in pochi anni sono diventati una delle potenze industriali più forti al mondo, siamo più forti nelle situazioni di difficoltà. Non stiamo uscendo da una guerra, ma da un momento di rottura nella storia molto forte. Bisogna rimboccarsi le maniche ed essere comunità anche se siamo avversari politici. Non è che nel secondo dopoguerra non ci fossero le lotte politiche, anzi, si sentiva uno scontro fra ideologie e il mondo era diviso in blocchi, la pensavano diversamente su tutto, però avevano qualcosa che li teneva uniti. I nostri padri, le nostre madri, per qualcuno i nostri nonni e le nostre nonne hanno saputo superare quelle differenze e fare uscire il paese dalla crisi. In scala, è un po’ quello che stiamo cercando di fare oggi”.

 
Ci si chiede se questo momento sia solo una parentesi e se al suo termine siamo destinati a ritornare alla normalità della dialettica pubblica e politica per come la conosciamo, diciamo “gladiatoria”.  “Si tratta senz’altro di una pausa, nel senso che un governo tra avversari politici non è ripetibile: questo governo è partito da una situazione di emergenza e sta gestendo la stessa emergenza, poi si tornerà avversari politici, come è fisiologico in democrazia. Potrebbe anche non tornare come prima, passano gli anni, potrebbero esserci delle variazioni rispetto a quelle cui siamo stati abituati per vent’anni. Per esempio, già la dicotomia tra centrosinistra e centrodestra di una volta non ha più quelle caratteristiche, se non altro per la presenza dei Cinque stelle. Vorrei che si recuperasse una cosa dalla Prima Repubblica, cioè la capacità di essere avversari e di scontrarsi, sapendo però di avere un terreno di valori condivisi che superi le differenze politiche: la difesa del paese, la sua crescita, i valori fondanti costituzionali. Questo si è un po’ smarrito negli anni passati nella violenza dello scontro politico. Si può essere avversari anche senza essere nemici”.

 
Questo sarebbe sufficiente per ottenere una trasformazione culturale, anche dal punto di vista della rappresentazione della politica sul proscenio nei confronti degli elettori? “Dipende dai singoli. Ci sono leader che rappresentano la propria forza politica con determinazione, con forza, senza mai essere aggressivi o violenti verbalmente nei confronti degli avversari. Ci sono anche quelli che lo sono un po’ di più”.

 
A proposito di tecnologie e di innovazione, lei fa un uso parco dei social network. Pensa che i social, per la loro natura, influiscano anche nel peggioramento della qualità del dibattito pubblico? Magari perché tendono a estremizzare il pensiero? “L’assenza di fisicità consente a volte di essere molto aggressivi. Poi, ognuno li usa come vuole, i social, come tutti gli strumenti. Certo, io l’ho detto più volte, se ci fosse una corrispondenza su come veniamo aggrediti sui social rispetto a quel che capita per strada… invece non succede mai. Se scrivo ‘il cielo oggi è azzurro’ sui miei canali, metà dei commenti sarà ‘vergogna’, ‘cosa stai a guardare il cielo’, ‘vai a lavorare’, ‘ladro’. Non è questa la parte che preoccupa, ma quella relativa all’informazione. Sulla rete è difficile distinguere la notizia fondata, documentata, seria, dalla fake news. Il movimento dei no vax in gran parte deriva da informazioni surreali come il microchip sotto la pelle, il controllo delle nascite e delle morti attraverso microchip e cose pazzesche di questo tipo. Però circolano: il tema di trovare un meccanismo per contrastarle non è solo italiano”.

 
Qui a Venezia si è da poco conclusa la Mostra del cinema. Uno dei film più interessanti, più attesi e anche premiato, il film di Paolo Sorrentino, viene trasmesso, prima che nelle sale, su Netflix, quindi lo vedremo a casa. Lei negli anni passati ha lanciato un’idea, poi concretizzatasi nella “Netflix italiana” ItsArt. Ci racconta che cos’è? “Il termine ‘Netflix italiana’ lo avevo usato per far capire che è una piattaforma di contenuti. Non può essere in nessun modo paragonabile con una potenza globale che fa un altro tipo di attività. ItsArt sta funzionando. L’idea è di avere un luogo dove le produzioni culturali italiane, siano esse musica, cinema, teatro, prosa, visite ai musei, vengano offerte sulla rete, a pagamento, anche se una parte del prodotto è gratuita. Questo può aiutare i teatri che hanno ancora difficoltà di presenze, e lo sta già facendo, e soprattutto può diffondere l’immagine dell’Italia nel mondo. Proviamo a immaginare una piattaforma che via via si afferma e tu, anche a Melbourne, puoi vederti la prima della ‘Bohème’ che sarà il 12 ottobre al San Carlo, la prima della Scala o un concerto o la visita al museo. E’ una grande offerta. Pochi giorni dopo il suo lancio, ho letto dei bellissimi articoli sul suo flop iniziale e mi sono entusiasmato, perché deve esserci una capacità di analisi economica sensazionale per dare giudizi dopo tre soli giorni di attività. La piattaforma sta crescendo, stanno aumentando i contenuti, così come le vendite. Vedremo come andrà, ma credo che l’idea sia di importanza fondamentale”.

 
Sarà mai in attivo dal punto di vista economico? “Io penso che abbia tutti gli strumenti per farcela.
Quando lei legge sui giornali i retroscena che le attribuiscono sogni qurinalizi, cosa pensa? “Mi diverto. E’ una specie di gioco di società: si buttano i nomi, si costruiscono scenari, complotti, ogni cosa… al Quirinale non si ambisce, per definizione”.
Quindi niente di vero? “Niente”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.