il retroscena
Nella sfida tra Rai e Mediaset, Giorgetti e Pd si coccolano il Cav.
La nuova legge sui tetti pubblicitari, targata Mise, sorride al Biscione. Il M5s: "Abbiamo le antenne dritte". Ma tra dem e renziani si appellano ad AgCom e Tar per dire che Berlusconi non ha torto. Pd e Fi lavorano per un'intesa trasversale. Sullo sfondo, la voglia di tutti di tenersi buono il leader azzurro in vista del Quirinale
Al Mise se la ridono un poco sotto i baffi, divertendosi a sottolineare l’aporia: che insomma, per una volta che è la Lega ad allinearsi all’ortodossia europea, anche qui ci si vuole vedere del marcio? E in effetti, a rigore, Giancarlo Giorgetti non ha torto. Perché lo schema di decreto legislativo che a inizio agosto ha trasmesso al Senato recepisce la direttiva europea 1808 del 2018. E però, siccome quelle disposizioni legislative “concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi”, e insomma ridefinisce le regole della concorrenza tra la Rai e i suoi concorrenti privati, e cioè tra la Rai e Mediaset, ecco che basta poco ad alimentare i sospetti politici. “Favoritismi nei confronti di Berlusconi? Presto per dirlo. Di certo, nelle audizioni finora svolte, i dubbi e le perplessità di molti esperti del settore ci impongono di tenere le antenne ben dritte”, mette in guardia allora Gabriella Di Girolamo, capogruppo del M5s in quella commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama che entro il 18 ottobre è chiamata a esprimere un parere sul decreto legislativo.
Ché poi il riflesso condizionato è sempre quello: quello, cioè, di considerare che quando si debba fare accordi col Cav., accordi veri, è sempre degli affari di famiglia, del Biscione, insomma della roba, che si finisce a parlare. E forse allora è un sintomo della ancora imprescindibile centralità di Berlusconi nei passaggi più decisivi del gioco politico, il fatto che anche il Pd, stavolta, potrebbe rinunciare ad alzare le barricate.
Perché, se è vero com’è vero che a Giorgetti interessa eccome coccolare il Cav., pensando non solo alla costruzione di quel “partito unico” su cui ancora gravano troppe incognite ma anche alle buone parole che il leader di FI può spendere in Europa per agevolare il dialogo della Lega col Ppe, è pur vero che al Pd, specie all’ala riformista del partito, conviene evitare qualsiasi frizione con Arcore, in vista della sfida per il Quirinale e nell’auspicio mai del tutto rinnegato di quella possibile alleanza “Ursula” che lascerebbe il Carroccio fuori dal perimetro di governo. E allora eccolo, la faccia sorniona di Andrea Marcucci, uno che spesso anticipa i tempi anche a costo di risultare intempestivo, che predica pragmatismo: “Spero solo che la televisione non ridiventi nuovamente un terreno di scontro tra berlusconiani ed antiberlusconiani. Si discuta piuttosto nel merito”, dice il senatore dem.
Il merito, appunto. Il merito sono gli introiti pubblicitari. Quelli che la Rai si vedrebbe decurtati in base al nuovo provvedimento, con un ammanco nel bilancio che s’aggirerebbe, secondo le stime di Viale Mazzini, tra i 60 e gli 80 milioni. Il motivo, al netto dei tecnicismi, è presto detto: la nuova legge vieterebbe all’azienda di concentrare gli spot, come di fatto accade oggi, negli orari più affollati, come la prima serata, e sulle reti più viste, e in particolare RaiUno. Dovendo distribuire in modo più omogeneo, sia tra i canali, sia nelle fasce orarie, quel 6 per cento di tempo destinato alla pubblicità, nelle casse entrerebbero meno soldi. Il tutto, mentre il tetto degli spazi pubblicitari per le reti private in chiaro verrebbe contestualmente alzato dal 18 attuale al 20 per cento orario. Eccolo, insomma, lo spettro del regalo a Berlusconi?
Chissà. Di certo l’analisi che i due relatori al Senato stanno conducendo, in un lavoro congiunto tra il dem Salvatore Margiotta e il forzista Massimo Mallegni che per qualcuno è l’anticamera di una larga intesa trasversale, non potrà non tenere conto, però, di una delibera dell’Agcom dello scorso anno, confermata peraltro anche dal Tar del Lazio a gennaio scorso, che stigmatizza come “dumping pubblicitario” la condotta della Rai: quella, cioè, di concentrare gli spot negli orari e sui canali più importanti. “E se per ipotesi avessimo un pronunciamento dell’AgCom, confermato dal Tar, che sanziona come illecita una condotta di Mediaset, ci sarebbe un corteo di proteste ogni giorno sotto Cologno Monzese”, ironizza, con l’aria di chi è serio, Michele Anzaldi. “Siccome invece a reiterare questo stratagemma è la Rai – prosegue il deputato renziano, esponente della commissione di Vigilanza – dovremmo continuare a tollerare e ad alzare le spalle?”.
Senza contare, poi, che una delle prime vittorie che l’ad Carlo Fuortes potrebbe riportare, almeno in base alle indiscrezioni che circolano a Viale Mazzini, è il riconoscimento del cosiddetto “extragettito”, ovvero la riscossione da parte dell’azienda dell’intero ammontare del canone (che al momento va invece a finanziare, in minima parte, un fondo pubblico per il pluralismo televisivo). Una cifra che, manco a dirlo, s’aggira intorno agli 80 milioni all’anno: proprio gli stessi che la Rai si vedrebbe decurtare dai propri bilanci se passasse la proposta di Giorgetti. Insomma, se le buone ragioni per non accanirsi contro il Cav. ci sarebbero tutte, chi mai, a ridosso del risiko quirinalizio, avrebbe interesse a farne una questione politica?