Una destra mondiale senza stelle e la grande occasione per la Lega

Claudio Cerasa

Dal Brasile alla Francia. Dall’Austria alla Germania. Da Israele al Regno Unito. Dal Canada agli Stati Uniti. Le destre restano senza punti cardinali. E "la Lega di Giorgetti" (cit.) ora ha una super chance

Elettori molti, idee poche. La convocazione a Roma dell’ultimo summit del Partito popolare europeo (20-21 settembre) ha messo di fronte agli occhi di molti osservatori una realtà difficile da negare. E la realtà è questa. Per la prima volta da molto tempo a questa parte, la destra mondiale improvvisamente si ritrova senza punti di riferimento a cui ispirarsi e, a parte la presenza di qualche illustre padre nobile da applaudire durante qualche convegno, la situazione è quella che è. Leader disorientati, traiettorie caotiche, idee confuse, progetti impalpabili e incapacità diffusa non solo di intercettare il nuovo spirito del tempo ma anche di far coesistere in unico progetto due concetti che fino a qualche tempo fa la destra dominava meglio di chiunque altro: libertà, sicurezza e protezione.

  

E una volta che Angela Merkel si farà da parte, cosa che capiterà a partire da lunedì prossimo, lo scenario di desolazione offerto dalle destre mondiali sarà evidente più che mai. Tra un Boris Johnson imprendibile (può una destra liberale alzare le tasse?) e un Donald Trump invisibile (oltre Donald c’è vita nei repubblicani?). Una Marine Le Pen evanescente (può un partito sovranista avere un futuro rinunciando al sovranismo?). Un Jair Bolsonaro impresentabile (può una destra moderna non essere vaccinata?). Un Viktor Orbán indigeribile (si può stare contemporaneamente come fa Salvini con Orbán e con Draghi?). Un Sebastian Kurz incomprensibile (può davvero essere un europeista chi sceglie di chiudere i confini del suo paese ai migranti?). Un Armin Laschet impalpabile (i conservatori della Cdu, ha scritto pochi giorni fa lo Spiegel, “potrebbero trovarsi di fronte a una storica sconfitta”). Un Bibi Netanyahu ormai fuori dai radar (la destra nazionalista che in questi anni ha tifato per Netanyahu riuscirà a essere fino in fondo filo israeliana anche senza la presenza di Bibi al governo?). Una destra francese sfuggente (Xavier Bertrand, uno dei candidati alla leadership della destra francese, ha detto che la Francia, dopo il disastro diplomatico dei sottomarini con l’Australia, potrebbe rimettere in discussione la sua appartenenza alla Nato). Una destra canadese poco moderata che ha provato a insidiare Justin Trudeau camuffandosi da destra moderata (e che anche per questo è riuscita a insidiare la leadership del premier uscente).

  

  

In uno scenario desolante e sconfortante come questo la verità è che l’unica destra che in giro per il mondo ha mostrato un certo dinamismo e una certa volontà di provare a cambiare pelle per quanto possa sembrare incredibile è proprio quella italiana. Il caso di Francesca Donato, l’eurodeputata leghista che, come aveva anticipato giorni fa sul Foglio al nostro Simone Canettieri, ieri ha lasciato la Lega in quanto convinta che la linea della Lega sia dettata non più da Matteo Salvini ma da Giancarlo Giorgetti, è un caso molto piccolo eppure  molto sintomatico di un processo interessante che sta investendo la Lega. E quel processo coincide con una consapevolezza di cui si deve essere reso conto anche Salvini: in una stagione in cui la destra mondiale ha perso gran parte dei suoi punti cardinali occorre trovare un modo per reinventare se stessi.

  

Ma per reinventare se stessi, come ricorda ogni giorno Giancarlo Giorgetti al suo segretario, non si può essere parzialmente incinta. Bisogna decidere da che parte stare. E tra le scelte importanti che presto si presenteranno di fronte allo sguardo di Matteo Salvini ce ne saranno alcune che andranno affrontate per tempo. Primo: si può ambire a guidare un giorno l’Italia restando ancorati in Europa allo stesso gruppo in cui si trovano gli estremisti dell’AfD? Secondo: si può ambire a guidare il centrodestra senza sbarazzarsi delle molte Francesca Donato che esistono nella Lega? Terzo: si capirà che la possibilità non remota di dover registrare una non vittoria alle prossime amministrative avrà poco a che fare con la partecipazione al governo Draghi e avrà molto a che fare con l’incapacità della leadership di centrodestra di esprimere una classe dirigente degna di questo nome? Elettori molti, idee poche.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.