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Caro Presidente, non ci lasci soli contro il populismo giudiziario

Claudio Cerasa

In questi sette anni Sergio Mattarella ha fatto il possibile per allontanare l’Italia dal baratro estremista e tenerla agganciata all’Europa. Manca una sua parola per l’emergenza culturale, politica e civile chiamata giustizia

Tra poco più di quattro mesi si chiuderà il formidabile settennato di Sergio Mattarella e al di là di quello che sarà il suo futuro e al di là di quello che sarà l’esito della roulette russa quirinalizia sarà difficile non riconoscere che il presidente della Repubblica in tutti questi anni ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per allontanare l’Italia dal baratro estremista, per tenere il nostro paese agganciato all’Europa e per evitare che l’onda populista potesse andare a intaccare le fondamenta della nostra democrazia. Mattarella, per tutto questo, per la sua sensibilità, per il suo impegno a favore dell’Europa, della scienza, della competenza, dell’euro, dell’atlantismo e ovviamente a favore dei vaccini verrà ricordato come un presidente capace di portare dalla sua parte anche coloro che inizialmente avevano dubbi sulla sua figura. E la storia, in fondo, lo ricorderà non solo per essere stato colui che è riuscito a offrire all’Italia messaggi di speranza in momenti drammatici come quelli che tutti abbiamo vissuto durante la fase più acuta della pandemia ma anche come colui che è riuscito a far sgonfiare il populismo mettendolo alla prova del governo.

Tutto giusto, tutto vero, tutto corretto. Eppure esiste un neo non secondario che ha macchiato in piccola parte la stagione quirinalizia di Mattarella e quel neo riguarda i silenzi molto frequenti con cui il presidente della Repubblica ha scelto di rispondere a un’emergenza culturale, politica e civile che negli ultimi anni ha offerto il peggio di sé: la giustizia.

 

Mattarella, lo sappiamo, da presidente della Repubblica è automaticamente capo del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, e in questi sette anni, da sincero antipopulista qual è, avrebbe forse dovuto trovare il tempo, il modo, il tatto per occuparsi di una forma di populismo che purtroppo molti antipopulisti tendono spesso a nascondere a loro stessi. Avrebbe potuto forse dire qualcosa sul dramma della deriva correntizia della magistratura. Avrebbe forse potuto dire qualcosa sul dramma della perdita di credibilità da parte del Csm. Avrebbe forse potuto dire qualcosa sul dramma di una giustizia incapace di difendere di fronte ai cittadini il principio non negoziabile della terzietà del giudice. Avrebbe forse potuto dire qualcosa su quei professionisti dell’antimafia che hanno trasformato la lotta contro la mafia in un semplice moltiplicatore della propria esposizione mediatica oltre che dei propri fatturati editoriali. Avrebbe forse potuto dire qualcosa sul dramma di una magistratura ostaggio di una piccola e rumorosa minoranza giustizialista. Avrebbe forse potuto dire qualcosa sulla sovraesposizione mediatica di una parte della magistratura italiana. Avrebbe forse potuto dire qualcosa sul dramma dei magistrati che tendono a considerare gli indagati innocenti fino a prova contraria solo se questi sono iscritti a una qualche corrente della magistratura. Avrebbe forse potuto dire qualcosa su una procura finita in malora come quella di Milano (la farsa del processo Eni non è seconda alla farsa del processo sulla Trattativa) e avrebbe forse potuto dire qualcosa su un’altra procura (come quella di Palermo) che per anni ha tentato di mettere sotto scacco sulla base del nulla il predecessore di Sergio Mattarella al Quirinale (Giorgio Napolitano, arrivato persino a essere intercettato per interposta utenza, e il cui fidato consigliere, Loris D’Ambrosio, è morto di crepacuore proprio nei giorni in cui qualche giornale manettaro aveva tentato di sputtanarlo, descrivendolo come uno dei nuovi traditori dello stato).

Dopo sette anni di Sergio Mattarella, l’Italia è un paese più forte, più autorevole, più consapevole, più coeso rispetto a come l’attuale capo dello stato lo aveva trovato e se Mattarella volesse lasciare anche su questo terreno un segno tangibile della sua presenza un modo lo avrebbe: non solo affrontare finalmente il problema in pubblico, ma anche vigilare affinché le nomine imminenti che andranno a riguardare alcune tra le più importanti procure italiane (da Milano a Palermo passando per Roma e la procura antimafia) siano nomine costruite seguendo una logica precisa. L’unica possibile. L’unica in grado di combattere la gogna. Quale logica? Semplice. Separare le carriere dei giornalisti da quelle dei magistrati e affidare la guida delle grandi procure  italiane a soggetti in grado di combattere il populismo giudiziario. Caro presidente, l’ultimo miglio della battaglia contro i populismi passa da qui. Non ci lasci soli, grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.