Il caso Morisi manda Salvini nel pallone
Non rinuncia ai comizi. Ma ogni palco è una tortura. “Che c’è nel telefono del suo braccio destro?”
E il guaio è che adesso teme le pernacchie, addirittura. Per la prima volta, dal palco del comizio, guarda la folla con sospetto. Eppure c’è una campagna elettorale da completare. Tacere non si può. Fermarsi nemmeno. Allora eccolo, Matteo Salvini, nel giorno in cui diventa pubblica la notizia che il suo braccio destro Luca Morisi è indagato per spaccio di stupefacenti. Attraversa la Toscana, la provincia di Siena e quella di Lucca. Ogni tappa un discorso. Poi la Liguria, la provincia La Spezia, e ancora su fino a Parma e infine a Milano. Ma non a piazza Duomo, quella gliel’ha sfilata Giorgia Meloni. Il leader della Lega parla a Niguarda, in una via laterale, periferica. Milano come metafora d’uno stato d’animo, di una condizione politica ed esistenziale. Tutto sembra spintonarlo. Anche ai suoi occhi, appannati. Caduto Claudio Durigon, l’amatissimo organizzatore delle questioni meridionali. Caduto adesso Morisi, un fratello. Chi sarà il prossimo? I dieci piccoli indiani. E il capo sempre più solo. Sospinto dall’istinto, dall’abitudine selvatica alla fatica del rapporto con il pubblico. Non si molla infatti. Non si cede. Un panino inghiottito, la Coca-Cola di traverso, e via in macchina verso il prossimo comizio. Quasi un esorcismo. Le parole sul palco e la testa da un’altra parte. Cattivi pensieri. I presidenti di regione del nord ormai lo contestano abitualmente. I sondaggi vanno male, tranne che a Torino. Persino Giancarlo Giorgetti con estremo e malizioso candore demolisce in un’intervista alla Stampa le candidature a Milano e a Roma. E’ l’inizio della fine?
Di prima mattina, letti i giornali, letto Giorgetti che liquidava il candidato sindaco di Roma Enrico Michetti, Giorgia Meloni s’è infuriata. Ma sul serio. D’istinto la leader di Fratelli d’Italia ha pensato di parlare, di scrivere una nota, caustica, contro la Lega. Poi però Meloni ha osservato meglio la situazione. Ha guardato bene Salvini. Lo ha visto per come appare: suonato come Robert De Niro nel finale di “Toro scatenato”, quando dopo l’incontro si finisce dissanguandosi nella toilette. E allora Meloni ha cambiato idea. Meglio non infierire. Quasi avvolta, come dice uno dei dirigenti del partito erede della Fiamma, “da un senso di compassione”. Ecco la parola: compassione. Incredibile. “Se lo stanno cucinando”, dicono allora in Fratelli d’Italia, il partito alleato cui questo lento dissanguamento interessa, sì, ma forse nemmeno troppo. Chissà.
Nel gruppo intorno a Salvini sono ore d’ansia e di recriminazioni, paure anche irrazionali. O forse fondatissime. Mali inconsci e patemi viscerali. Temono, per esempio, ciò che la polizia potrebbe trovare adesso nel computer e nel telefono cellulare sequestrati a Morisi. “Mica finisce qua”. Vallo a sapere. In tutti una sensazione non solo di accerchiamento, ma di consunzione. Terminale. Ci sono le elezioni, con i loro presagi infausti, ma anche le inchieste giudiziarie. I commercialisti inquisiti. L’affare russo che torna a fare capolino. E’ come se a Salvini adesso il gioco gli sia finito nelle mani, per esaurimento. Nel pomeriggio la sua automobile s’inerpicava sull’Appennino, fino a Borgo Val di Taro, provincia di Parma. Le bandiere. Il palco. Il caldo umido. Davanti a lui cinquanta persone, cui rifilare il solito attacco al ministro Lamorgese, pezzo forte di un repertorio che però si sta pericolosamente prosciugando. Di droga e di sicurezza non ne parla più, ovviamente. I giornalisti vanno incontrati con il contagocce. Andrà in televisione? Persino Mario Giordano, che gli faceva da presentatore nella campagna elettorale emiliana, oggi sarebbe costretto a chiedergli di Morisi. E fino a che punto si può rispondere? Ma soprattutto: che sta succedendo? Il nemico dov’è? E’ anche dentro la Lega? “Più mi attaccano più mi danno forza per non mollare. Non mollerò mai”. Ma è un effetto di scena.