Palazzo Chigi

Il totoquirinale irrita Draghi: "È il parlamento che decide". I movimenti di Giorgetti

"Non si diventa una repubblica presidenziale per via editoriale”

Carmelo Caruso

Le congetture sul futuro non piacciono al premier che ricorda: "Assolverò il mio mandato". La Lega teme invece che il minstro dello Sviluppo economico lavori in sintonia con il premier per il dopo Draghi. In Cdm arriva la Nadef

C’è chi lo allontana per trattenerlo. E chi lo trattiene per allontanarlo. Mario Draghi è infastidito. Mario Draghi è contrariato. Prova fastidio perché al Quirinale “non si va” ma si viene “eletti”. Prova fastidio perché il Quirinale è la casa di un gentiluomo. Prova fastidio perché le maniere, il rigore e le qualità di Sergio Mattarella impongono la formula: “Presidente, c’è chi ti chiede di restare”. Deve essere poi Mattarella a dire: “Non mi sento di rimanere”.

 

Le prossime elezioni del presidente della Repubblica non possono essere trattate come fossero la preparazione di un trasloco. Si sta parlando di “trasferire Draghi”, si ragiona sul “semipresidenzialismo”, si stanno costruendo nuovi poteri straordinari, si propone la carica di presidente maresciallo. A Palazzo Chigi la chiamano la “settimana dell’iperbole”. L’ultima delle idee messe in circolo, e che si può smentire, è che l’intervista-analisi di Giancarlo Giorgetti alla Stampa, la sua intervista da Schopenhauer, il suo “mondo come volontà e rappresentazione”, sia stata un’astuzia concordata con il premier. Il premier l’ha letta come tutti. Si è stupito come tanti.

 

Pensare che Draghi possa chiedere a un suo ministro, e a quel ministro, di intervenire, o tanto più impedirgli di farlo, “offende sia Draghi sia Giorgetti”. Giorgetti si è mosso in autonomia, si è fatto carico di un rischio. E’ un’intervista a suo modo capolavoro. A distanza di giorni se ne ragiona ancora. La Lega di Salvini è ormai convinta che voglia essere lui il successore di Draghi. Ma Giorgetti è più complicato. E’ stato capace di dire che Draghi deve andare al Quirinale e sostenere che Draghi deve rimanere premier a vita. A chi gli ha rimproverato di aver messo in difficoltà Draghi, Giorgetti ha risposto: “Ho detto che voglio Draghi per sempre”. A chi gli rimprovera di voler Draghi per sempre, ha replicato: “Ho detto che non può restare premier a vita”.

 

Bisogna cominciare a studiarlo per quello che è: una testa complessa. Una complessità amata dal premier. L’operazione di Giorgetti è per Giorgetti “un’operazione di generosità politica”, nei confronti della coalizione, “è una scossa elettorale, uno choc”. Ha in pratica compattato tutta la destra. Meloni-Salvini-Tajani per la prima volta erano d’accordo. Erano tutti contro di lui. Meloni ha perfino difeso Salvini. Indicando Draghi al Quirinale, Giorgetti avrebbe infatti messo paura a chi vuole eleggerlo.


Alla destra che vuole tornare al voto, Giorgetti  ha invece ricordato che non è ancora pronta.

 

Nel futuro che qualcuno sta preparando per Draghi, manca Draghi. Il gioco è dire: “E’ stanco di fare il premier”. Non è vero. La malizia è invece sostenere: “La scelta di andare al Quirinale è solo sua”. Draghi non è uomo da autocandidature. Dice questo: “La nomina del prossimo presidente della Repubblica è prerogativa del Parlamento”. In questi giorni che precedono le elezioni amministrative, questo pericoloso slancio, nei confronti del premier, non fa altro che irritare. Il paragone con De Gaulle viene preso come inopportuno, infondato, perché non si diventa,  “una repubblica presidenziale per via editoriale”.

 

La suggestione che l’uomo di carisma possa superare la Costituzione è solo una suggestione. E’ un uomo rispettosissimo delle regole. Non c’è stata nessuna cena con Mattarella, per di più una cena per concordare il futuro o per spartirlo. Diverso è invece rispondere alla domanda cosa farà Draghi? La riposta non c’è. La risposta in realtà c’è.

 

Ha intenzione, e lo ripete, di “assolvere fino in fondo”, attenzione, “fino in fondo” il mandato ricevuto dal Parlamento. Ha deciso, e lo ha deciso oggi, di candidare Roma a ospitare l’Esposizione universale del 2030. Sta lavorando su quello che è stato chiamato patto industria-sindacati ma che è meglio chiamare prospettiva sindacati-industria. E sta producendo risultati. Sta infatti cambiando qualcosa fra governo e sindacati. Gli incontri sono adesso incontri dove si concorda sulle cose da fare e il “tradizionalista” Maurizio Landini ne esce sempre meno impetuoso e sempre più protagonista. La partita del lavoro è ormai la partita. E’ per questo che nelle stanze del governo si racconta e si precisa che non c’è nessuna bocciatura di bozze da parte del premier, una sorta di gusto a stralciare le proposte del ministro Andrea Orlando sugli ammortizzatori sociali. Il metodo si conosce: le bozze vengono spedite a Palazzo Chigi che le lavora e le porta in cabina di regia.

 

Ultima è stata proprio quella di oggi dove si è discusso della Nadef. Arriverà nel Cdm di martedì dove entreranno anche i provvedimenti che permetteranno di allargare la capienza di cinema e palazzetti dello sport. Non arriverà, ed è certo (ma è sempre certo mentre si scrive) la delega fiscale a cui sta lavorando il Mef. Si preferirà attendere il risultato delle amministrative. Nessuno ci crede ma la serenità di Draghi sta tutta nel non pensarsi né come sostituibile né come insostituibile. Draghi gode di uno dei pochi privilegi: essere ambìto senza dovere ambire.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio