Le città al voto
A Bologna il centrosinistra senza avversari corre in “campo largo” per vincere subito
Ma la pandemia ha lasciato in eredità, tra i problemi, l'emergenza spaccio
Il candidato favorito Matteo Lepore, l'accordo con l'ex avversaria renziana Isabella Conti, l'asse con il M5s, la periferia e la quasi-periferia, l'Università, le start-up, Prodi, il Mulino e le post Sardine. E il fantasma di Piazza Verdi
Le altre puntate del Foglio sulle città al voto le trovate qui: Milano è il capolinea della destra; Vota il presepe napoletano. La corsa di Maresca, Manfredi e Bassolino
I bonghi e il caos in piazza Verdi, i video dei residenti inferociti, il tema sicurezza che rimbalza sugli ultimi giorni di campagna elettorale sotto forma di preoccupazione per la stupefacente Bologna, nel senso di una recrudescenza dello spaccio. C’era anche prima, piazza Verdi, con i bonghi e il caos e quelli che in tempi pre Covid non venivano neppure chiamati assembramenti, da quanto ci si era abituati, in città, a vedere orde di persone ogni sera riversarsi lì. E quando si parla con chi la campagna elettorale oggi la vive in prima persona, sembra di essere tornati ai tempi in cui Sergio Cofferati, nel 2006, all’ennesima notte di guerriglia urbana, con lanci di bottiglie e sassi, calci alla polizia e un ragazzo che addirittura faceva pipì nel cuore del quartiere universitario, si metteva un metaforico cappello da sceriffo in testa. Lui, il Cinese cosiddetto, da tanti atteso come papa straniero della sinistra. Ma neanche Giorgio Guazzaloca, l’unico sindaco di centrodestra (sui generis) nella sfilza di sindaci di centrosinistra a Bologna, era riuscito a risolvere il problema.
Elezioni Bologna, Matteo Lepore spera nella vittoria al primo turno
E ora i bonghi – eterno ritorno in negativo – entrano nell’agone bolognese come neo sulla superficie della città simbolo di emiliana efficienza. Piazza Verdi è il luogo che sempre viene citato, da tutti i candidati, quando si deve nominare un problema vecchio ma anche nuovo, lo spaccio, appunto, diventato urgenza da risolvere specie dopo la pandemia, spiega il candidato sindaco di centrosinistra Matteo Lepore, favorito nei sondaggi dopo la battaglia alle primarie con la renziana sindaca di San Lazzaro Isabella Conti. Ed è talmente favorito, Lepore, da illuminare una realtà in differita: se ci saranno, i nodi verranno a galla all’interno del Pd, non altrove. Perché la lotta nelle urne non è tanto lotta per vincere, ora: la destra, nonostante Giorgia Meloni dica “combattiamo per vincere”, non è di fatto considerata a Bologna un nemico neanche dalla sinistra, tanto che Lepore, a domanda sull’avversario imprenditore Fabio Battistini, descritto nel Pd come concorrente galantuomo, colpevole soltanto di essersi affidato a giorni alterni ora a Matteo Salvini ora Giorgia Meloni, risponde al Foglio mostrandosi possibilista a proposito di un eventuale travaso di voti dall’altro campo: “Molti cittadini di centrodestra voteranno magari per i partiti di riferimento”, dice Lepore, “ma con voto disgiunto indicheranno me come candidato”. E insomma, non si è neanche usciti dall’atrio della stazione che già il tema del chi vince si trasforma in “come” vincerà il candidato favorito, colui che è quasi giunto al comizio finale (domani), al termine di quasi ottocento incontri, tra cui pranzi e caffè a casa delle numerose famiglie auto-segnalatesi all’uopo.
Lo ripete più volte, Lepore, durante l’incontro del 27 settembre con i rappresentanti del mondo della moda e dell’arte nell’atrio dell’hotel “Il Guercino”, piccolo scrigno per intenditori nascosto in una corte nel cuore della Bolognina: “780 incontri”, ripete davanti alla scrittrice Patrizia Finucci Gallo, animatrice di salotti culturali. E dalla Bolognina tutto parte e alla Bolognina tutto torna, si pensa mentre si ascolta il presidente uscente pd della circoscrizione Navile, Daniele Ara, da dieci anni in carica, non ricandidato ma punto di riferimento per il pd locale, mentre mostra il nuovissimo campo da basket nella grande piazza dell’Unità che è punto di aggregazione ma anche, in alcune ore, crocevia di spacciatori, proprio a due passi dalla targa che ricorda le vittime della battaglia di Porta Lame, in piena Resistenza. E tutto parte da lì e tutto torna lì non solo perché Achille Occhetto era lì, alla Bolognina, il 12 novembre del 1989, quando, proprio durante la celebrazione della battaglia, annunciò la svolta che porta il nome del rione: quella che ha portato allo scioglimento del Pci. “E non è vero”, scherza Ara, “che dove prima c’era la sede del Pci ora c’è un parrucchiere”. Cioè, il parrucchiere c’è, in una delle vie multietniche della zona, in mezzo ad altri parrucchieri cinesi e arabi, e le sale sono quelle, ma erano sale dell’anagrafe: la sede del Pci è a un centinaio di metri.
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E il vecchio, il nuovo, l’italiano, lo straniero, la sinistra e la post-sinistra si incontrano e scontrano, ma in modo non drammatico, nell’ex quartiere industriale, crollato con la de-industrializzazione e poi risorto per farsi un po’ bohème un po’ frontiera dove si sperimentano da anni soluzioni per l’integrazione, l’occupazione, la sanità. Ci sono le case popolari accanto a quelle recuperate, anche se non si può parlare di vera “gentrification”, ci sono i Deli che espongono file di shampoo e bagnoschiuma tutti uguali e c’è il ristorante macrobiotico dove va sempre il sindaco uscente Virginio Merola. Dalla Bolognina tutti passano, anche i turisti di nuovo presenti. Daniele Ara indica, in fondo ai viali, uno snodo di palazzi dall’architettura londinese, sorta di Canary Warf senza Tamigi, con i nuovi uffici tecnici del Comune, le panchine, gli alberi, il sushi bar e lo scheletro della futura piazza coperta (futuro punto di aggregazione anti-spaccio), e poco oltre la casa della Salute, poliambulatorio. E’ l’Emilia del mix sociale, avanguardia di welfare e della “sinistra che esiste quando scende sulla terra”, come dice il governatore Stefano Bonaccini, un’Emilia che si ripropone sotto la linea ferroviaria che collega in neanche un quarto d’ora l’aeroporto e la stazione dell’alta velocità: sembra già di stare in un progetto post-Pnnr, anche se, dice Lepore, la pandemia ha messo comunque a dura prova una città che “per fortuna era sana, con un bilancio sano”.
La solidità dello spirito bolognese si indovina dietro i muri, tra il famoso istituto salesiano e il teatro Testoni, muri e spazi che trent’anni fa hanno vissuto lo shock della chiusura di trenta fabbriche e del grande mercato ortofrutticolo, e poi la ritirata delle banche, e negli ultimi due decenni l’arrivo degli immigrati (i cinesi c’erano già, dagli anni Venti), mentre ora sono oggetto di “rigenerazione urbana”, a partire dal Museo della Shoah, sul cui selciato corrono gli skater, fino al limitare del centro, e devono assorbire le opposte visioni di chi nel rione va ad abitare in una casa popolare e di chi lo sceglie proprio per la sua aria di periferia centrale, ossimoro che rende possibile l’eccezione: se in tutto il resto di Bologna il Pd è maggioritario, alla Bolognina ha sempre qualche punto percentuale in meno. Poca cosa, ma il centrodestra, pur diviso e traballante, fa nel rione i suoi comizi più volentieri che altrove, cercando consensi nelle strade retrostanti la storica via Serra, magari sperando che il murales “Merola ipocrita” nasconda malumore non soltanto verso il sindaco uscente ma verso il centrosinistra nel suo insieme.
Bologna e la costruzione di un "campo largo" di centrosinistra
Solo che Bologna vuole dire inesorabilmente Mulino e Romano Prodi. E sempre Bologna mostra le proprie radici e i propri feticci, dalla vecchia locomotiva di quello che era il dopolavoro ferroviario all’insegna antica della trattoria Papa Re, luogo che molto piaceva a Massimo d’Alema. E quando ci si sposta nella periferia-periferia, al Pilastro, chi viene da Roma fa fatica a definire periferico quello che non pare comunque aggredito dal degrado (anzi), fermi restando i problemi: dalla biblioteca agli orti urbani i luoghi non sembrano in balia di se stessi, e il Circolo Arci del Pilastro sembra quasi quasi il cortile di una scuola del centro (non è illusione ottica, a giudicare dalle tante attività proposte in bacheca). Che cosa c’è sotto la superficie di questo ordine? Risponde Simone Borsari, presidente uscente pd del quartiere San Donato-San Vitale, di cui il Pilastro fa parte, e amministratore sul campo ora candidato al Comune: “Il disagio giovanile”, dice Borsari, “su questo abbiamo cercato di intervenire, a partire dal rischio tossicodipendenze. Altro problema: qui ci sono ancora troppe case popolari, in cui le situazioni di disagio familiare e di tensione all’interno dei caseggiati si protraggono per anni, motivo per cui la vigilanza sulle aree di maggiore fragilità deve essere costante. Ma con il bando periferie al Pilastro sono stati destinati nove milioni di euro, cifra importante per agire sulla povertà relazionale ed educativa e sugli spazi pubblici”.
Come la vede il candidato sindaco Lepore, a pochi giorni dal voto, mentre a destra, nella relativa desolazione del momento grave per la Lega, arriva la missiva ai bolognesi di Silvio Berlusconi, missiva che invita la cittadinanza a votare “per il ricambio”? Lepore è seduto per un panino volante in un bistrot, tra un incontro e un altro, e dice che Bologna “arriva all’appuntamento elettorale con uno stato di salute forte, dopo lo stress test della pandemia. E sì, ha vacillato, ma è stata in grado di prendersi cura di se stessa. Ci vorrà un po’ di tempo per tornare a far vivere del tutto la socialità e per arginare la recrudescenza-spaccio, ma sono sicuro che la città più progressista d’Italia sarà, con tutta la regione, una delle locomotive del paese: sul lavoro e sulla sanità un sindaco deve pensare a politiche industriali”.
E se il problema della droga, come si diceva, ricorre ora in tutti i discorsi pre-elettorali a livello nazionale per via della disavventura leghista, a Bologna è questione di antidoto (“durante i lockdown è mancato l’antidoto della socialità e della solidarietà”, dice Lepore). Ricorre anche, in città, il discorso del “fuoco amico” possibile all’interno del Pd, ma Lepore dice di non temerlo: “L’indicazione delle primarie è stata netta e chiara, prima delle correnti viene la città”. Né teme scossoni allo schema nazionale di alleanza con Pd-M5s, Lepore, tanto più che a Bologna è forte (il cinque stelle Max Bugani da mesi ripete: concentriamoci su quello che unisce). A Bologna va in scena dunque preventivamente il “campo largo del centrosinistra”, con Coraggiosa di Elly Schlein in prima linea e con Mattia Santori, la “sardina” più nota tra le post-sardine, candidato con il Pd (due giorni fa ha pranzato con Romano Prodi). Per Lepore campo largo significa soprattutto, nei temi, sinistra. I centristi attendono. Ma il candidato non vuole fermarsi “al politicismo”: “In Italia serviranno i sindaci, nel prossimo futuro. Di ogni colore. Perché quello che ci serve sono progetti concreti”. La sua agenda ideale dei primi cento giorni prevede “focus su lavoro, sanità e sicurezza, l’attenzione alle imprese, attraverso un nuovo patto, anche se a Bologna, avendo liquidità nelle casse del Comune, abbiamo potuto intanto già aiutare le imprese provate dalla pandemia”. Altra priorità, il servizio di supporto alla genitorialità per aiutare le famiglie degli adolescenti persi lungo la via della Dad.
Ma che Bologna è quella che va al voto? Dice il filosofo Stefano Bonaga, che in città è una specie di nume tutelare della sinistra ma con linea eccentrica: “Adesso, in una fase di ricostruzione dei corpi intermedi, bisognerebbe chiedere ai cittadini non tanto cosa volete quanto cosa potete. Un candidato sindaco dovrebbe dire: cari cittadini, voi siete portatori naturali di risorse. Tanto più un partito che governa la città da sempre dovrebbe cercare di far ragionare i cittadini disorientati, anche se capisco che la preoccupazione sia anche un’altra: è vero che ora tra ex candidata renziana e candidato pd, dopo le primarie, c’è accordo, ma bisogna vedere che cosa succederà dopo, avendo comunque introdotto quella che potrebbe essere una variabile impazzita. Insomma, Bologna soffre, per così dire, di un ingarbugliamento di fili che potrebbero essere dritti”. E in effetti, nei mesi precedenti all’accordo Lepore-Conti, la questione aveva travalicato i confini bolognesi sotto forma di titoli sulla “fronda renziana” nel Pd bolognese. Ora però sia Lepore sia Conti, interpellati in proposito, si mostrano sereni. La sindaca di San Lazzaro descrive al Foglio la Bologna che va al voto come una città “orgogliosa della qualità della vita ma ferita, dopo la pandemia, soprattutto in alcune fasce professionali e di età. Penso agli artigiani, ai ragazzi. Con i fondi europei in arrivo avremo risorse da spendere, ma questa possibilità non ci deve far perdere la tensione per aggiustare quello che si è rotto”. Enumera, Isabella Conti, i punti dell’accordo stilato con Lepore “sulla base dei progetti concreti”: “L’educazione, l’edilizia scolastica, l’azzeramento delle liste d’attesa nei nidi, l’inclusione sociale e la rigenerazione umana oltre che urbana. E poi l’aiuto alle imprese perché generino lavoro, con focus sull’imprenditoria femminile e giovanile”.
“Ho già sperimentato sul mio territorio”, dice Conti, “e ha avuto un grande successo l’iniziativa con la quale abbiamo insegnato a redigere un business plan nel settore tessile o della ristorazione. Per ogni giovane imprenditore che parte si creano altri posti di lavoro, ricordiamolo”. Ed è ovvio che dire giovani, a Bologna, vuol dire prima di tutto università. Gli studenti stanno tornando, gli studenti fanno girare l’economia. Ma che cosa offre la città, ora e in prospettiva? Dall’Università di Bologna, Raffaele Laudani, docente di Storia delle Dottrine Politiche, colloca questo momento lungo quello che gli sembra “un tornante decisivo, dopo dieci anni di governo continuativo con uno stesso Sindaco e in un momento storico particolarissimo, considerato anche che avremo da gestire una quantità di risorse senza precedenti e che questa città, nonostante il lockdown, continua ad andare bene, come dimostrano anche i recenti dati dell’ufficio statistico del Comune che mostrano un saldo migratorio positivo. Abbiamo la capacità di attrarre investimenti, abbiamo fondamentali molto solidi, abbiamo la forza dell’università, abbiamo un asset strategico con il Tecnopolo e il nuovo Centro meteo europeo. Comune e Università dovranno essere alleati per rinforzare il ruolo strategico di Bologna, consapevoli che la conoscenza è la chiave del nostro futuro”.
E dove i due lockdown hanno disgregato e acuito le disuguaglianze, dice Laudani, “c’è una Bologna che ha ancora un forte presidio sociale nell’associazionismo diffuso”. Il potenziale, dice il professore, “a Bologna c’è: la città può essere un traino per l’Italia, per centralità geografica, qualità dei servizi, per solidità del tessuto produttivo, ma per sfruttare appieno questo potenziale dobbiamo valorizzare al massimo i nostri talenti con una seria politica della conoscenza”. A questo proposito parliamo con Stefano Onofri, giovane imprenditore nella classifica Forbes under 30, fondatore di Cubbit, una delle prime cento startup tech in Italia che crea un cloud distribuito, e tra i protagonisti dello StartUp Day dell’Università di Bologna per l’imprenditoria giovanile e accademica: “Nel panorama italiano, che in questo campo è ancora indietro rispetto alla Francia e all Germania, specie a livello di investimenti, a Bologna possiamo partire da un dato importante: abbiamo il capitale umano, i cervelli che escono dall’università. E vorrei che nei prossimi anni anche chi può investire capisse che investire in questo campo è, in prospettiva, più redditizio e stimolante che comprare l’ennesimo appartamento. E’ un gioco in cui vinciamo tutti”.
Intanto dal Pd, alla vigilia del voto, si spera intanto nella vittoria al primo turno.
Il racconto del Foglio sulle città al voto