Effetto amministrative
Ecco come la vittoria del centrosinistra rafforza Draghi
Letta annuncia una nuova intesa con il premier. Asse con Forza Italia (che esulta). Incognita nella Lega. Brunetta: “Vince il centro”
Al gioco del “chi vince e chi perde”, Renato Brunetta decide di giocare a modo suo. “Vince Draghi, vince la stabilità che mira alla crescita”, ci dice a metà pomeriggio il ministro della Pubblica amministrazione. E la convergenza, quantomeno ideale, col discorso che Enrico Letta ha pronunciato poco prima, celebrando la vittoria del Pd e sua personale alle suppletive di Siena, non è casuale. Perché del resto il segretario del Pd l’aveva lasciato intendere, ai suoi fedelissimi, il cambio di stagione imminente: “Dopo le amministrative”, ripeteva a chi lo rimproverava di essere troppo accondiscendente alle bizze grilline. Ed è stato di parola. “Questo è un grande successo per il centrosinistra: rafforza l’Italia perché rafforza il governo Draghi”, dice Letta, che accantona il ddl Zan e cita “sicurezza e libertà” tra le istanze da sostenere. Ursula nell’aria? Di certo Letta ammicca esplicitamente al Cav.: “Non esiste più il centrodestra perché non c’è più il federatore, che era Berlusconi”.
E del resto, i risultati non ammettono interpretazioni fantasiose. Il Pd vince ovunque affermando la sua centralità: a Milano e Bologna, con Sala che sfiora la soglia del 60 per cento e Lepore che la supera, distanziando Bernardo e Battistini di oltre trenta punti, il contributo del M5s è irrilevante (tra il 3 e il 4 per cento). Anche a Napoli, capitale del grillismo, Manfredi vince col 65 per cento e il M5s, coi suoi 10-11 punti, resta comunque sotto ai dem. Il tracollo della Raggi a Roma, con la sindaca uscente che rischia di finire perfino dietro a Calenda (stanno entrambi intorno al 18 per cento), indica al Nazareno che la rincorsa alla sindaca uscente non è una cosa per cui perdere il sonno, perché Gualtieri, che col 27 per cento va al ballottaggio con 4 punti in meno di Michetti, potrà anche puntare al centro. Come del resto il Pd ha fatto a Torino, e a ragione. Lì il partito ha puntato sul riformista Lo Russo, risolutamente anti Appendino. E il risultato è eloquente: i dem vanno al ballottaggio col 42 per cento, staccando di 3 punti il civico filoleghista Damilano, e il M5s non arriva al 10. E si spiega allora anche la contentezza di Renzi: “Pesiamo più noi del M5s. Se il Pd se ne accorge, la svolta è imminente”.
Che poi, a sentire Brunetta, è un po’ il senso di queste amministrative. “Con Draghi a Palazzo Chigi, vincono i partiti che anziché puntare sulle proprie ali radicali sapranno rivolgere lo sguardo al centro”. E del resto il fatto che a salvare l’onore del centrodestra ci pensino un berlusconiano come Dipiazza a Trieste (che va al ballottaggio col favore dei pronostici) e il capogruppo forzista di Montecitorio, il moderato Occhiuto, eletto presidente della Calabria, dà consistenza a questa lettura. Che in fondo deve essere la stessa in cui anche Salvini crede, se il leader della Lega (superato dalla Meloni nel voto di lista ovunque tranne che a Milano), quando lo spoglio è appena iniziato s’affretta a confutare le tentazioni di rottura: “Noi al governo rimaniamo perché ce lo ha chiesto Mattarella”, dice. Forse quell’asse tra Pd e FI, evidente, lo intravede anche lui.