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Effetto amministrative

Ecco come la vittoria del centrosinistra rafforza Draghi 

Valerio Valentini

Letta annuncia una nuova intesa con il premier. Asse con Forza Italia (che esulta). Incognita nella Lega. Brunetta: “Vince il centro”

Al gioco del “chi vince e chi perde”, Renato Brunetta decide di giocare a modo suo. “Vince Draghi, vince la stabilità che mira alla crescita”, ci dice a metà pomeriggio il ministro della Pubblica amministrazione. E la convergenza, quantomeno ideale, col discorso che Enrico Letta ha pronunciato poco prima, celebrando la vittoria del Pd e sua personale alle suppletive di Siena, non è casuale. Perché del resto il segretario del Pd l’aveva lasciato intendere, ai suoi fedelissimi, il cambio di stagione imminente: “Dopo le amministrative”, ripeteva a chi lo rimproverava di essere troppo accondiscendente alle bizze grilline. Ed è stato di parola. “Questo è un grande successo per il centrosinistra: rafforza l’Italia perché rafforza il governo Draghi”, dice Letta, che accantona il ddl Zan e cita “sicurezza e libertà” tra le istanze da sostenere. Ursula nell’aria? Di certo Letta ammicca esplicitamente al Cav.: “Non esiste più il centrodestra perché non c’è più il federatore, che era Berlusconi”.

E del resto, i risultati non ammettono interpretazioni fantasiose. Il Pd vince ovunque affermando la sua centralità: a Milano e Bologna, con Sala che sfiora la soglia del 60 per cento e Lepore che la supera, distanziando Bernardo e Battistini di oltre trenta punti, il contributo del M5s è irrilevante (tra il 3 e il 4 per cento). Anche a Napoli, capitale del grillismo, Manfredi vince col 65 per cento e il M5s, coi suoi 10-11 punti, resta comunque sotto ai dem. Il tracollo della Raggi a Roma, con la sindaca uscente che rischia di finire perfino dietro a Calenda (stanno entrambi intorno al 18 per cento), indica al Nazareno che la rincorsa alla sindaca uscente non è una cosa per cui perdere il sonno, perché Gualtieri, che col 27 per cento va al ballottaggio con 4 punti in meno di Michetti, potrà anche puntare al centro. Come del resto il Pd ha fatto a Torino, e a ragione. Lì il partito ha puntato sul riformista Lo Russo, risolutamente anti Appendino. E il risultato è eloquente: i dem vanno al ballottaggio col 42 per cento, staccando di 3 punti il civico filoleghista Damilano, e il M5s non arriva al 10. E si spiega allora anche la contentezza di Renzi: “Pesiamo più noi del M5s. Se il Pd se ne accorge, la svolta è imminente”.

  

Che poi, a sentire Brunetta, è un po’ il senso di queste amministrative. “Con Draghi a Palazzo Chigi, vincono i partiti che anziché puntare sulle proprie ali radicali sapranno rivolgere lo sguardo al centro”. E del resto il fatto che a salvare l’onore del centrodestra ci pensino un berlusconiano come Dipiazza a Trieste (che va al ballottaggio col favore dei pronostici) e il capogruppo forzista di Montecitorio, il moderato Occhiuto, eletto presidente della Calabria, dà consistenza a questa lettura. Che in fondo deve essere la stessa in cui anche Salvini crede, se il leader della Lega (superato dalla Meloni nel voto di lista ovunque tranne che a Milano), quando lo spoglio è appena iniziato s’affretta a confutare le tentazioni di rottura: “Noi al governo rimaniamo perché ce lo ha chiesto Mattarella”, dice. Forse quell’asse tra Pd e FI, evidente, lo intravede anche lui.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.