le elezioni viste dai grillini

L'effetto Conte che non c'è. Il tracollo del M5s in numeri e percentuali

Valerio Valentini

Sconfitto a Roma con la Raggi, annichilito a Torino. L'ex premier al battesimo del fuoco elettorale fa i conti con un Movimento allo sbando, inconsistente sui territori. Doveva risollevare le sorti del grillismo col suo carisma, ora Giuseppi si aggrappa alle attenuanti generiche: "Il nuovo corso ha bisogno di parecchi mesi"

Se doveva essere la prova dell'"effetto Conte", allora la prova, almeno a giudicare dalle prime rilevazioni, sembra essere assai fallimentare. E certo le attenuanti per l'ex premier ci saranno tutte, ma le cifre sono comunque eloquenti: due sconfitte sonore nelle città, Roma e Torino, dove il M5s ha governato negli ultimi cinque anni. Percentuali irrilevanti a Milano, con la candidata Layla Pavone inchiodata intorno al 2 per cento che rischia perfino l'onta di vedersi scavalcata dalla lista dell'eretico Gianluigi Paragone. A Bologna si attendono i risultati del voto di lista: ma il contributo grillino (per mano di un contiano doc come Max Bugani) al trionfo di Matteo Lepore pare essere ininfluente. Eccolo, al battesimo del fuoco, il tracollo del M5s guidato da Giuseppe Conte. Che infatti, col tono di chi fa buon viso a cattivo gioco, a metà pomeriggio si fa vedere davanti a Montecitorio, dove attende l'esito dello scrutinio, e previene il fuoco incrociato delle critiche: "Il nuovo corso è iniziato poco prima della consegna delle liste e che dunque non ha potuto dispiegare a pieno le sue possibilità e che avrà bisogno di parecchi mesi per realizzarsi".

 

 

Invoca tempo, dunque. Tempo e pazienza. Ma né l'uno né l'altra sembrano scontate. Del resto, che le sensazioni non fossero positive, lo aveva certificato Beppe grillo in persona. Il quale, con un post pubblicato senza avvertire nessuno, com'è nel suo stile, aveva messo le mani avanti: "Dodici anni fa abbiamo fatto l'impossibile. Ora dobbiamo fare il necessario!". La foto scelta, col comico genovese insieme al vecchio socio Gianroberto Casaleggio, non sembrava in effetti un grande sponsor al nuovo corso contiano. E però dallo staff del nuovo leader grillino, ancora nelle ultime ore perseveravano nel dispensare ottimismo. "Non dovremmo preoccuparci di individuare un candidato a cui dare il nostro consenso al ballottaggio a Roma, perché a Roma vincerà Virginia Raggi", aveva ripetuto l'ex premier nella chiusura di campagna elettorale, con l'aria di chi prova a esorcizzare una paura. E infatti proprio quella nella Capitale è la sconfitta più clamorosa. Non tanto perché la sindaca uscente, al netto delle prime illusorie proiezioni di Swg, non raggiunge la soglia minima per accedere al ballottaggio, ma perché la tanto annunciata rimonta non c'è. E la Raggi finisce anzi per dover giocarsi il terzo posto con Carlo Calenda, che in questa sfida giocava il ruolo dell'outsider e che invece, stando ai primi dati dello spoglio, ottiene con la sua sola lista più voti di quelli raccolti dal M5s.

Anche a Torino, l'eredità del grillismo di governo è una sconfitta sonora. Chiara Appendino, forse fiutando l'aria, aveva deciso di passare la mano e non tentare la via della riconferma. Aveva tentato, proprio insieme al premier, di chiudere un accordo col Pd locale per individuare una candidatura comune che servisse anche a camuffare i reali valori in campo. Ma i dem sabaudi hanno puntato sull'autonomia del centrosinistra, tenendosi lontani dalla linea della continuità con la giunta grillina, e hanno scelto quello Stefano Lo Russo che della sindaca è stato il più intransigente degli oppositori in Sala Rossa, contribuendo anche a mandarla in tribunale con un esposto per dei pasticci nei bilanci municipali. E la scelta del Pd ha pagato, se è vero che Lo Russo, che pareva destinato a doversi difendere dall'assalto del civico di centrodestra Paolo Damilano, raggiunge invece agevolmente il ballottaggio addirittura come primo classificato. E dunque Conte, dopo aver magnificato le sorti di una Valentina Sganga che non va oltre il 9 per cento, e dopo aver negato risolutamente la possibilità di sostenere il Pd al secondo turno, si ritrova ora con le spalle al muro. E prova allora a correggere il tiro: "I cittadini non sono pacchi postali", premette Conte. Che poi però scopre le carte, mostrando di non avere grandi punti in mano: "Ma il nostro progetto politico non può avere alcuna affinità coi partiti del centrodestra. Aspettiamo che si consolidino i dati e poi valuteremo se ci sono le possibilità per instaurare un dialogo. Non potremo sicuramente avere nessuna suggestione per le forze di destra", ripete.

E poi c'è Milano. La città a cui Conte aveva inviato a metà agosto una lettera surreale per indicare la volontà di radicare il suo Movimento nel nord produttivo, risponde al presidente del M5s in modo netto: e così Layla Pavone, la candidata grillina che del resto si era segnalata per null'altro che per aver criticato proprio Conte, non andrebbe oltre il 4 per cento, rischiando di essere scavalcata anche da Gianluigi Paragone, l'ex senatore a cinque stelle che ora sogna l'italexit. Nel frattempo Beppe Sala stravince, volando verso l'apoteosi già al primo turno. Un po' Come Matteo Lepore, il portacolori del Pd a Bologna: che ottiene percentuali bielorusse (oltre il 60 per cento) che rendono dunque il contributo della lista grillina a suo sostegno (accreditata di non più del 5 per cento, al momento) del tutto irrilevante.

Unico possibile alibi, pare essere Napoli. E' a quella città che Conte s'aggrappa. "Un dato politico importantissimo", dice. Ma lì dove il M5s è storicamente più radicato, e dove però il senso del successo di Conte starebbe in questo: aver deciso, nella città che fu epicentro e capitale del grillismo, di sostenere un candidato espresso dal Pd, quel Gaetano Manfredi che è stato ministro dell'Università proprio in quota dem. Un po' poco, obiettivamente. Anche per chi, come Conte, potrà comunque dire che il "periodo della semina" è appena cominciato, che la rifondazione del M5s deve ancora dare i suoi frutti. Al momento, la terra sembra arida assai.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.