Strappo dopo le comunali
Salvini fugge da una riforma fiscale fatta a misura di Lega
Semplificazione, abolizione delle micro tasse, riduzione dell’Irpef, superamento dell’Irap e federalismo fiscale. Ma al Carroccio la delega non piace perché Draghi non rinuncia al riordino del catasto rinviato da decenni
Il suo ideale di riforma fiscale Draghi l’aveva descritto nel primo discorso al Parlamento, indicando la riforma danese del 2008: il governo nomina una commissione di esperti, che incontra i partiti e le parti sociali e presenta una proposta organica al Parlamento che prevede la riduzione della pressione fiscale di due punti di pil. Ma le cose in Italia, ovviamente, sono più complicate.
E così il primo passo di questo percorso si apre con lo strappo della Lega che abbandona la cabina di regia e diserta il Consiglio dei ministri perché la delega fiscale contiene il riordino del catasto. Si tratta, in tutta evidenza, della reazione immediata di Matteo Salvini alla sconfitta elettorale delle amministrative: sventolare la bandiera anti tasse per ergersi a difensore del patrimonio immobiliare degli italiani sotto attacco. Non si sa da chi, però. Dato che il riordino del catasto, in Italia rinviato da decenni, come più volte ha specificato Draghi non prevede alcuna modifica alla tassazione (“nessuno pagherà di più o di meno”). Il premier, dal canto suo, non sembra impressionato dalla mossa della Lega e dalle possibili ricadute politiche: “Ce lo spiegherà l’on. Salvini oggi o domani”, ha detto riferendosi alle ragioni dell’assenza dei ministri leghisti. Ma ciò che Salvini dovrà spiegare, ai suoi elettori più che al premier, è l’ostilità a una delega che prevede: semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, eliminazione delle micro-tasse, riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi, superamento dell’Irap e anche un potenziamento del federalismo fiscale con la devoluzione dell’attuale gettito Imu ai comuni. In pratica gran parte delle proposte della Lega accolte nella relazione del Parlamento a cui si ispira la delega al governo.
Al di là delle tensioni politiche sul catasto, la delega al governo fissa alcuni punti condivisi ma è ancora molto generica. E, come ha specificato il ministro dell’Economia Daniele Franco, indica la direzione di un “percorso di semplificazione e riduzione del carico fiscale”, della durata di 18 mesi (questa la scadenza per emanare i decreti legislativi), che però dovrà fare i conti con il nodo delle coperture: “Dall’attuazione della delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, recita l’ultimo articolo. Ma dove si trovano, allora, le risorse per abolire i micro-tributi, abbassare il carico sui fattori produttivi (“due punti superiore alla media euro” dice Franco), ridurre le aliquote dell’Irpef e in particolare del terzo scaglione (“per un lavoratore con reddito medio il cuneo fiscale è cinque punti superiore ai paesi Ue”, dice Franco) e abolire l’Irap?
Qualcosa si può ottenere dal riordino delle deduzioni e delle detrazioni, qualcos’altro dall’efficientamento del sistema di riscossione (è probabile un intervento separato sul lato della privacy), ma è poca roba per una riforma ambiziosa per cui servono 1-2 punti di pil. In questo senso, l’unica leva nella riforma pare essere l’art. 5 sulla “razionalizzazione dell’Iva”. Come scritto sul Foglio dell’8 luglio, un accorpamento delle aliquote agevolate farebbe guadagnare competitività al sistema produttivo nazionale attraverso l’effetto della “svalutazione fiscale” e farebbe recuperare diversi miliardi di evasione riducendo la possibilità di fare arbitraggio tra le varie aliquote. Con il ricavato si può fare un incisivo intervento sull’Irpef.