L'intervista
"Caro Letta, scegli: o Draghi o Conte. Poi parliamo del ballottaggio a Roma". Parla Calenda
Il leader di Azione racconta al Foglio la sua idea di centro: “Brunetta e Carfagna mollino i sovranisti". E sul futuro: "Ora giro l'Italia”
Roberto Gualtieri s’aspetta il suo sostegno.
“E sbaglia”.
Nel senso che voterà per Michetti?
“Nel senso che non farò apparentamenti”.
Il centro basculante, eccolo qui.
“Ma per favore. Che stimi Gualtieri ben più di Michetti mi sembra scontato dirlo. Ma il discorso non riguarda solo il ballottaggio di Roma. È più ampio”.
E allarghiamolo, allora, onorevole Calenda.
“Lo dico a Letta: scelga lui tra il modello Draghi e il modello Conte”.
Tocca insomma far violenza a se stessi, al gusto per la conversazione spicciola, pirotecnica: Carlo Calenda vuole ragionare, con la pacata gagliardia di chi rivendica quel 19 e rotti per cento che fa della sua lista la più votata nella capitale. “Il risultato romano mi assegna la responsabilità di costruire un’area riformista e liberaldemocratica, che può trovare un’intesa naturale sia con un Partito democratico privo di pulsioni filogrilline sia con quella parte di forze popolari di Forza Italia che non vogliono morire sovraniste. S’intende che quando parlo di popolari, mi riferisco ai veri popolari. Non a chi, come Tajani, a Bruxelles fa l’europeista e a Roma il valletto di Salvini. Io credo che personalità di valore come Carfagna o Brunetta farebbero bene a prendere atto che lì, in quella coalizione, non è pensabile costruire un’agenda che non sia succube delle mattate di Salvini e Meloni”.
Ma un centro del genere avrebbe allora un dialogo privilegiato col centrosinistra oppure no?
“Certo. Ma attenzione: assai più che nella contrapposizione tra destra e sinistra, oggi la battaglia politica si gioca tra europeismo e sovranismo, tra realismo e populismo. E dunque osserverei anche quello che succede a destra, le evoluzioni e le fibrillazioni dentro la Lega. Tra Letta e Giorgetti c’è molta più vicinanza di vedute di quanta non ce ne sia tra Salvini e Giorgetti, o tra Letta e Bonafede. Almeno sulle questioni di governo”.
Noi però volevamo chiederle di Roma.
“E le cose si tengono. Perché il Pd che da me si aspetta un sostegno è un Pd chiamato a una scelta. Letta deve decidersi sul da farsi col Movimento 5 stelle. E non è un mio puntiglio. È una questione di linea politica. Letta deve scegliere tra il modello Draghi e il modello Conte”.
Ma glielo ha detto? Perché magari lui le direbbe che l’ambizione del Pd è tenere insieme tutto.
“Sono mesi che non ci sentiamo. Ma glielo direi, certo. Gli direi che oltre un certo punto, questa illusione di tenere insieme tutto si rivela per quel che è: mistificazione. Perché Draghi e Conte sono inconciliabili. Da un lato hai concretezza, competenza, pragmatismo riformista. Dall’altro trasformismo, qualunquismo, immobilismo. Il M5s era un partito morto già dopo le europee del 2019: gli si concesse un nuovo giro di giostra, e un altro ancora. E qui la responsabilità fu anche di Renzi, che poi però ha avuto il merito di volerla fare finita con quella pantomima. Ma ora basta dare ossigeno a un branco di incapaci che ha infettato la politica italiana. Se poi Di Maio vuole davvero farsi il suo nuovo Udeur, auguri. Ma smettiamola di vagheggiare un nuovo bipolarismo in cui per poterci dire progressisti dobbiamo elogiare Conte e Taverna”.
Avrà notato che Letta sembra aver cambiato registro, dopo il voto. Più attenzione a Draghi, la nettezza nel dire che la fase del Conte “punto fortissimo dei progressisti italiani” è finita.
“L’ho notato. Ma fatico a capire se sia davvero l’inizio di una nuova stagione. In ogni caso, due avvertimenti vorrei lanciarli. Il primo è a non confondere le amministrative con le politiche, a non dare per acquisita la vittoria contro la destra. Anche perché il bipolarismo all’italiana ha prodotto l’anomalia di due schieramenti che si polarizzano sempre di più, scannandosi ad esempio su porti aperti e porti chiusi ma senza preoccuparsi del fatto che, tanto che governasse la destra, tanto che governasse la sinistra, per cambiare la legge sull’accoglienza non si è fatto una benamata fava. Finché si agita la guerra di religione, Salvini gioca facile. Quando lo si sfida sull’agenda di governo, per lui sono guai. Parlo da uomo cresciuto nel culto dei valori della Resistenza, e proprio per questo dico che agitare lo spettro del fascismo dilagante come espediente per ottenere legittimazione politica è un alibi per una sinistra che vuole scansare la fatica del governo: io sovranisti e populisti voglio sfidarli su lavoro, crescita, istruzione. Su quei temi, il paese ti segue”.
Non erano due, gli avvertimenti?
“Il secondo riguarda un dato: le amministrative mostrano che nelle grandi città l’area libdem vale il 9,4%, il M5s l’8,4. Il Pd vuole prenderne atto? Io mi impegnerò a convincerli conquistando voti nel paese. Spero però che al Nazareno si smetta di seguire la linea Boccia”.
Ma su Roma?
“Premesso che non sosterrò mai chi dà posti in giunta al M5s, a Gualtieri lancio tre sfide. Affrontare la necessità di un termovalorizzatore per risolvere il problema dei rifiuti. Incorporare Ama e Acea, per lo stesso motivo. E unire Atac con Cotral e Ferrovie dello stato, per mettere a gara una parte del servizio sui trasporti pubblici. Se accetta, ne parliamo. Io aspetto. Intanto giro l’Italia”.