L'intervista
Cara destra così non va. Parla il sindaco meloniano di Pordenone
Alessandro Ciriani è stato rieletto con il 65 per cento dei voti. Al Foglio spiega il suo modello amministrativo: pragmatismo e società civile. E ai leader nazionali dice: “I candidati non si inventano. Si costruiscono con un dialogo con la parte profonda della città”.
Attento alla cultura del fare, apprezzato dal mondo produttivo, capace di aprire alle forze della società civile la coalizione a guida destrorsa, assertore della partecipazione dal basso, pro-vax e con letture raffinate: Alessandro Ciriani, meloniano, è stato rieletto sindaco di Pordenone con oltre il 65 per cento dei voti. La chiave di volta della destra municipale, vincente e presentabile, è spiegata così dal primo cittadino, già presidente della provincia, fratello di Luca, il capogruppo Fdi a Palazzo Madama: “Abbiamo impostato la campagna elettorale già nei cinque anni di amministrazione, puntando su temi puramente amministrativi, evitando di portare il dibattito politico nazionale all’interno del Comune”. La puntualizzazione: “Abbiamo sudato sul programma. Niente retorica 'modello due paginette'. Agli elettori ci siamo presentati con un master plan, elaborato con professionisti e tecnici, per far sapere cosa promettiamo concretamente alla città”. La linea: destra aperta più società civile moderata? “Mi ritrovo in questa lettura, indispensabile per un'area che si vuole affrancare da alcune vecchie tare: abbiamo 'arruolato' molte persone che guardavano con diffidenza al pianeta della destra. Le abbiamo valorizzate chiedendo di esprimere le loro competenze per la città, su un piano pratico. Abbiamo sconfitto la sinistra locale, forte e radicata, schierata su posizione ideologiche, grazie alla scelta di scommettere su idee e progetti”.
Le radici politiche di Ciriani? “Mi sono iscritto al Msi a 16 anni, sono stato in An e poi sono uscito dal Pdl. Dopo ho aderito a Fdi. In politica mi ha aiutato esser stato amministratore, presidente della provincia prima di diventare sindaco”. Una stoccata a chi scade nel carrierismo: “Mi accorgo subito di chi va a fare l’assessore 'per fare politica'. In giunta si va per risolvere problemi…”. Il suo modello? “Mi ispiro a Giancarlo Rossi, l’amatissimo sindaco Dc del terremoto: coordinò perfettamente gli interventi di quella stagione”. Le figuracce del centrodestra a Milano e Napoli come si potrebbero evitare? La risposta è secca: “Non si inventano i candidati-sindaco come conigli dal cilindro. Le elezioni si preparano dialogando con la parte profonda della città, con le categorie. Non si vota a scatola chiusa: il sindaco si sceglie anche perché trasmette qualcosa di emozionale”. Sui vaccini non ha dubbi: “Sono pro vax, ho vaccinato tutti in famiglia, anche mia figlia di 12 anni. Sul green pass ho perplessità in merito all’applicazione, per le troppe contraddizioni”. E da destra chiosa: “Uno stato autorevole avrebbe imposto la vaccinazione obbligatoria”.
L’unico neo delle elezioni è stata l’astensione. E qui Ciriani rilancia: “Bisogna scommettere sul coinvolgimento dal basso dei cittadini. È faticoso, ma è l'unica strada. La partecipazione ammorbidisce i contraccolpi del decisionismo: tutti sono contenti se costruisci una scuola, ma poi chi abita vicino all’edificio si lamenta del traffico e dei rumori. Meglio dare a tutti consapevolezza di quello che realizziamo”. E sul ruolo dei sindaci dice ancora: “Siamo l’antidoto alla disaffezione generata dalla politica nazionale: eroghiamo servizi che incidono nella vita del cittadino”. È nel board di PordenoneLegge: “Un festival straordinario, ma tutta la città ha una vitalità culturale. Con la cultura “si mangia”, si fa star bene la comunità cittadina e si attirano anche tanti turisti”. L’ultima considerazione è sull’immancabile "livre de chevet”: “Ho fatto la tesi di laurea su Ezra Pound, il mio libro preferito è "Il trattato del ribelle" di Ernst Jünger. ho letture che forse si conciliano male con l’impegno di un sindaco, che dovrebbe invece leggere quotidianamente il codice degli appalti…”.