Elogio della Lega a-social
Le due Leghe non esistono, ok, ma Fedriga, Zaia e Giorgetti hanno gli strumenti giusti per tenere Salvini lontano dal Papeete 2.0. Svolte possibili per il futuro (e sì, c’entrano anche i social modello televideo)
Ha forse ragione chi dice che le due Leghe non esistono, chi dice che la fronda contro il Capitano è una forzatura dei giornali, chi dice che la leadership di Giorgetti è un’invenzione dei nemici della Lega e chi dice che presto o tardi il salvinismo verrà messo in minoranza da una Lega diversa, più educata, meno urlatrice, meno truce, meno confusa, meno estremista. Ha forse ragione chi dice che la Lega, da buon partito leninista, non è un partito che fa della competizione interna un valore aggiunto, e basta vedere quanti sono stati alle ultime elezioni i parlamentari eletti nelle liste del Capitano targati Zaia (zeru tituli), targati Fontana (zeru tituli), targati Maroni (zeru tituli), targati Giorgetti (pochi tituli) per comprendere quanto possa essere farlocca l’idea che il rapporto della Lega con questo governo possa essere simile a quello del Pdl nel 2013 con il governo Letta. Non c’è un Angelino Alfano, non c’è un Ncd in potenza, non c’è una scissione in atto, non c’è un golpe in corso.
C’è un partito tutto sommato compatto che osserva spesso con sconcerto le mosse del suo Capitano ma che lavora sempre al suo servizio. Lo fa Giancarlo Giorgetti, che – invece – di Salvini è lo scudiero e cerca di difenderlo da se stesso. Lo fa Massimo Garavaglia, che due giorni fa in cabina di regia ha accettato senza colpo ferire l’indicazione di Salvini di non partecipare al Consiglio dei ministri. E lo fanno anche i governatori della Lega, che continuano a osservare Salvini come il leader che ha portato la Lega dal 4 per cento al 34 per cento e che semmai cercano non di far fuori il loro segretario ma di ridimensionare tutti coloro che avendo un’influenza negativa sul segretario tendono a portarlo su una via pericolosa. Le due Leghe non esistono, è vero, o quantomeno non sono in competizione l’una con l’altra, ma se si ha la pazienza di osservare lo stile, il passo, il tono, le idee e la traiettoria di alcuni leghisti si capirà facilmente che la Lega oggi ha un problema opposto a quello che ha Fratelli d’Italia.
Il partito di Meloni ha un leader che da solo guida una classe dirigente inesistente e pressoché impresentabile mentre la Lega ha una classe dirigente che da sola guida un leader che fa di tutto per apparire ogni giorno sempre meno presentabile. Una classe dirigente, quella leghista, che non ha solo la caratteristica di trovarsi in posizioni di governo, come Giancarlo Giorgetti, come Massimo Garavaglia, come Attilio Fontana, come Luca Zaia, come Massimiliano Fedriga, ma che ha anche un’altra caratteristica interessante, che riflette un atteggiamento politico più misurato, moderato e forse al passo con i tempi: l’essere a-social. Alcuni lo sono in senso letterale, come Giancarlo Giorgetti che sui social non c’è, altri lo sono in senso lato, e mentre Salvini considera importante far sapere a ogni ora del giorno e della notte cosa finirà nel suo stomaco e quanti immigrati vorrebbe respingere, gli altri i social li usano come i nostri genitori utilizzavano il Televideo: niente bollicine, solo informazioni essenziali. Può sembrare un dettaglio ma la Lega che usa i social network come un tempo si utilizzava il televideo è una Lega che condivide un progetto politico finalizzato non a far fuori Salvini ma a salvarlo da se stesso.
E’ una Lega che sogna di trasformare la sua presenza nel governo Draghi in un passaggio cruciale per isolare l’estremismo del partito di Giorgia Meloni. E’ una Lega che sogna di portare Mario Draghi al Quirinale anche per rimuovere definitivamente la mai cancellata stagione del Papeete.
E’ una Lega che accetta la retorica irresponsabile di Salvini su temi come il green pass solo a condizione che le chiacchiere del segretario non abbiano un riflesso sulla linea del governo. E’ una Lega che tutto sommato non ha grosse difficoltà a riconoscere che al governo con il Pd si lavora meno peggio del previsto. E’ una Lega che sogna di trasformare il partito in qualcosa di più simile alla Csu che alla AfD e che per questo lavora non per entrare nel Ppe ma per liberarsi in Europa da un partito che solo Salvini nella Lega non considera impresentabile. Ed è la stessa Lega che in queste ore, a Salvini, non sta rimproverando ciò che sta facendo la Lega sulla delega fiscale ma sta chiedendo di capire quale è la vera lezione arrivata dalle amministrative.
E la lezione è semplice: il problema della Lega non è aver lasciata scoperta l’agenda dell’opposizione a questo governo ma è non aver capito che in futuro i politici e i partiti che saranno premiati dagli elettori saranno quelli che riusciranno a fare con Mario Draghi quello che Olaf Scholz ha fatto in Germania con Angela Merkel: provare a intestarsi l’eredità di una leadership inimitabile. Un pezzo di Lega ci sta provando. E’ possibile che quel pezzo di Lega resti delusa ma la Lega a-social, la Lega più di Fedriga che di Borghi, la Lega più dei governatori che dei troll politici, la Lega che ha portato il partito a vincere in un numero elevato di piccoli comuni andati al voto tre giorni fa, è una Lega che merita di essere seguita e che rappresenta l’unica speranza di avere un giorno una destra un po’ meno simile alla stagione del trucismo e un po’ più simile a quella del draghismo. Quella Lega c’è. Ora deve trovare solo il modo di farsi sentire e di sbarrare la strada per il Papeete al suo leader che da giorni tenta di guidare la Lega con lo stesso stile di Oronzo Canà. Con un 5-5-5. Con uno schema suggestivo, sì, ma che purtroppo per Salvini semplicemente non esiste.