Nessuna Greta profeta nella patria ambientalista
In dissenso con Panebianco, che ha preso la Thunberg, ormai diciottenne maestra di vita e di morte del mondo contemporaneo, e ha provato a indagarne lo spirito profetico
Quel gigante anche goliardico della trasfigurazione linguistica che fu Franco Cordero chiamava Angelo Panebianco, il composto e chirurgico ragionatore che scrive libri e editoriali importanti nel Corriere della Sera, “Panis Albus”, e così tradotto dal grande proceduralista maniaco il nostro amico ha vieppiù guadagnato in fascino, non solo ai miei occhi. Stavolta (sabato scorso) Panebianco ha preso Greta Thunberg, ormai diciottenne maestra di vita e di morte del mondo contemporaneo, e ha provato a indagarne lo spirito profetico. Si è messo al di là della grancassa e ha cercato di udire parole e immagini di successo planetario e di incidenza politica e civile e culturale, la casa che brucia, la natura che si ribella all’uomo di bolsa e falsa onnipotenza, per richiamarci al fatto che come sempre, nella storia religiosa e ideologica del mondo, quando qualcuno ti indica maestosamente corrucciato una strada vaga e oscura, questo qualcuno cerca di soddisfare una domanda che preesiste alla sua profezia.
Panebianco ha certamente ragione. Di quella cosa lì, di quello spirito, le società scristianizzate e agnostiche, che ad altra profezia da secoli rinunciarono, hanno infinito bisogno. Solo che Ivan Turgenev era profetico, intuiva il nichilismo nel suo romanzo Padri e figli, un Pier Paolo Pasolini pure lui sfondava il tetto della sua propria banalizzazione portando l’immaginazione profetico-letteraria sulle colonne dello stesso giornale in cui scrive Panis Albus, nei Settanta, a segnalare l’intuizione dell’orrore, e in qualche suo modo morendone.
Il caso di Greta Thunberg è a mio modo di vedere le cose più un fenomeno di geomanzia che di profezia. Terriccio sparso, disegnini, matrici e madri per risalire una china primitiva di ipostasi, figli, nipoti, e arrivare al giudice: una tecnica di divinazione meno antica o arcaica, meno testata e appassionante, più genuina e primitiva, della profezia vetero e neotestamentaria, una incursione anche interessante dello spirito medievale nella modernità. C’è un qualcosa che suona semplicemente falso, e socialmente obbligato come ogni conformismo, nell’ambientalismo adolescenziale che si indirizza a masse enormi di rimbecilliti d’ogni età e trasforma alcuni dati sperimentali, controversi e controvertibili, in nuovo sapere religioso infallibile, e in anticipo della verità assoluta, per rispondere a una domanda comune di senso della vita.
Il mondo si riscalda, ma ne sappiamo poco. Sui modi e sulle cause. Volendone sapere troppo e confusamente perdiamo la nozione insieme scientifica e attonita dei fenomeni naturali più ordinari, il “meraviglioso fenomeno del temporale” di cui parla lo stupendo Franco Prodi quando si discute di bombe d’acqua, e guardiamo le figure, per esempio i ghiacciai che si sciolgono, trasformando in senso di colpa basso freudiano la felix culpa di esistere. Il mondo potrebbe anche finire, ma secondo la profezia materialista di Lucrezio non secondo l’attitudine spiritualista di Greta. Le mura del mondo sono fiammanti, sempre Lucrezio, e in questo senso da sempre la casa brucia, sennò non vivrebbe neppure, ma è nel divino, Venere o l’Incarnazione o un Dio più antico abramitico, piuttosto che nella ditta ambientalista, che ha origine l’apocalisse prossima ventura. Ecco perché, con il rispetto e la stima dovuti, visto che si tratta di Panebianco e di una argomentazione alta e riflessiva, mi permetto di obiettare allo statuto di profeta per la giovanissima svedese alla quale l’Accademia non ha ancora, per fortuna, comminato il suo bel premio Nobel.