Illiberalismo e scontri in piazza. Di nuovo gli anni Trenta?
Un osceno impasto anarchico-libertario, venato di spirito di rivolta, può ridiventare un fenomeno pericoloso, ma non è la rinascita del fascismo. Occhio, piuttosto, all’attacco alla Costituzione americana
Ieri abbiamo titolato “Fascismo in America” il nostro Bob Kagan preferito, perché di politica seria si deve cercare di scrivere come fa lui ora che denuncia la resistibile ascesa di un despota (Trump), come fece quando si trattava di invitare gli europei a capire un despota già affermato e pericoloso (Saddam: e fu sempre il Fogliuzzo a farlo conoscere in Europa), usando ancora argomenti ponderati e basati sui fatti. Quindi non abbiamo paura delle parole. In fondo fascismo è un termine che scorcia, che allude in un fulmine a ciò di cui è figlio il fenomeno novecentesco a tutti noto, la crisi della democrazia liberale.
Il fascismo però non è una leggenda nera che risale a quattro generazioni fa, nonni che l’hanno visto nascere, padri che l’hanno sperimentato da giovani e poi i loro figli, i figli dei figli e i figli dei figli dei figli, e si riproduce intatta (il punto di osservazione è l’ok boomer). Se fosse pertinente l’accusa di fascismo (squadrismo contro la Cgil, pugno chiuso di Landini, presidi e manifestazione unitaria, richiesta di scioglimento eccetera, e ricordo che il divieto di ricostituzione era in una “disposizione transitoria e finale”, sottolineo transitoria e finale, della Costituzione), vorrebbe dire che il fascismo, cui Eco addirittura e con successo appose l’aggettivo “eterno”, è l’orizzonte intrascendibile dell’esistenza comune, più di Napoleone, più dell’Ancien Régime, più della ghigliottina, una epopea delle epopee, un fenomeno talmente epico che non si può smettere di raccontarlo e che si riproduce a ogni latitudine, “Fascismo in America”. Non si ha voglia di scherzare sul tema, e tutti in fila alla manifestazione unitaria, al presidio eccetera, però andiamoci piano.
Voglio dire che democrazia e libertà non risolvono una volta per tutte tutti i problemi della società. La violenza, il simbolo, le pratiche rozze e che mettono paura, l’inerme reazione dei vili, l’impotenza di certi establishment che non vedono e non sentono, la debolezza di sistemi fondati sulla libertà e i diritti, tutto questo resta e si riproduce da sempre, sono cose eterne, ma Trump forse è peggio di Hitler o di Arturo Ui, ma non è precisamente la stessa cosa e non è figlio degli stessi fattori causali; e così in Italia con il 4 marzo del 2018, grillozzi e leghisti al potere, fiorì una letteratura sugli anni Trenta di ritorno, e ci mettemmo tutti una gran paura per nuove leggi di Norimberga e notti dei cristalli, ma bastò un Papeete e le interviste incrociate di Renzi e Bettini e Conte per mettere fine agli anni Trenta con largo anticipo sul prevedibile e sul previsto.
Ora, l’attacco alla Costituzione più antica del mondo e alla divisione dei poteri, e il fenomeno inaudito di un carisma dispotico nazionalizzato, quello dell’Arancione, sono fatti che Kagan spiega in modo diffuso e analitico, incontrovertibili. Vero anche che i fondamenti del costituzionalismo liberale e democratico sono da tempo sotto scacco, basti pensare all’islam politico, alle conseguenze controfattuali della vittoria sui sistemi socialisti nella guerra fredda, alla cosiddetta crisi del capitalismo globalizzato, al diluvio universale del politicamente corretto e della cancel culture, all’infragilimento di molte certezze tradizionali che associavano sicurezza di genere, sessualità abbastanza procreativa, certezze di linguaggio e di realtà oggettiva, una qualche manliness universalmente riconosciuta, e quel tanto di tradizione Dio Patria e Famiglia che sembra essere stabilmente emigrata nel mondo suprematista e populista sfasciacarrozze. Non lo abbiamo previsto, d’accordo, ma in fondo c’era da aspettarselo.
Così per il nostro revival fascista, per i nostri ricorrenti anni Trenta o Venti del secolo scorso (squadrismo). Ma i problemi non si eliminano con i termini che scorciano. È un fatto che la gente non si informa più attraverso la gerarchia angelica della carta stampata e dei buoni libri, sceglie per comodità e abitudine vie sempre più spicce, sempre più individualiste, sempre più immaginifiche, sempre meno razionali e ordinate.
Ed è un fatto che la demenza corrente si sposa a preoccupazioni correnti, meno dementi di quanto possa sembrare. Pensate un momento alle limitazioni introdotte dai lockdown, al fatto che il vaccino si è stagliato come un rimedio documentato, chiaro, semplice, a un fenomeno endemico che sa di malattia e di morte, nel corso di una pandemia che mancava per proporzioni da oltre un secolo, e che ora tra le limitazioni c’è la negazione di lavoro e stipendio per chi eserciti quello che è pur sempre un diritto, il non vaccinarsi. Come si sa, molti di noi sono per la via brutale del conformismo e della sudditanza alle norme stabilite in caso di emergenza e di crisi dalle autorità preposte (quorum ego). È una certezza, però, che non deve indurre a sottovalutare il fatto che le misure estreme di illiberalismo, tra cui il non accesso a lavoro e stipendio nel privato e nel pubblico per alcuni milioni di persone, misure sulle quali non c’è unanimità quanto agli obblighi fra i paesi europei, possono tirare scemo, come si dice, chiunque, figuriamoci i rimbecilliti del no vax. Un impasto anarchico-libertario, venato di spirito di rivolta e di intransigenza boccolona di infime minoranze fanatizzate dalla chiacchiera dei media, può ridiventare un fenomeno pericoloso, ma non è esattamente la rinascita del fascismo.