Il caso
Green pass, esame per Lamorgese. Allerta davanti aziende e stazioni
La titolare del Viminale non può più sbagliare: Meloni e Salvini sono alla finestra. E non sono gli unici. Preoccupa la saldatura tra lavoratori e frange estremiste. La direttiva della Polizia: prevista un'escalation di tensione
Per lei è l’esame green pass. Inedito e dagli esiti imprevedibili. Luciana Lamorgese lo sa. Non può sbagliare. Ne va del ministero che dirige. Rischia tutto. Sopra al Viminale volano i condor Meloni-Salvini (e non sono gli unici rapaci). La prima accusa la titolare dell’Interno di favorire “la strategia della tensione per calcolo come negli anni più bui della Repubblica”. Il secondo, il leader della Lega, dice che “se io avessi tollerato che dei neofascisti criminali assaltassero pronto soccorso, sedi sindacali e mezza città, sarei stato sfiduciato e rimosso in un secondo”.
E quindi oggi, giorno del debutto del green pass per oltre 3 milioni di lavoratori non vaccinati, la ministra dell’Interno è pronta al salto nel cerchio di fuoco. La preoccupano non tanto le manifestazioni sparse in giro per l’Italia, ma i micro conflitti che potrebbero esplodere qua e là. Porti, università, fabbriche, uffici, grandi imprese. I portuali, gli autotrasportatori, i dipendenti privati e i giovani. Potenziali focolai da sedare. Gli uni diversi dagli altri. Una circolare del capo della polizia Lamberto Giannini mette in guardia sul “rischio escalation”. Anche le strade e gli scali ferroviari saranno blindati e “attenzionati”. Miscele esplosive da maneggiare con la massima cautela. Preoccupa la saldatura con gruppi estremisti.
La parola d’ordine al Viminale è trattare con i lavoratori, garantire loro il diritto a manifestare, senza tollerare però i benché minimi refoli di violenza. La situazione per Lamorgese non è semplice (e per chi lo sarebbe?). Di fatto un provvedimento dell’intero governo è ricaduto tutto su di lei.
L’obbligatorietà del passaporto verde è diventata ormai solo un fatto di ordine pubblico. Ma non è che allora si sentirà un po’ lasciata sola da Palazzo Chigi? Chi la conosce dice di no. La descrive tranquilla. E al lavoro come sempre. Convinta di fare il massimo, nella speranza che tutti facciano altrettanto. Nella catena di comando e nelle altre stanze che contano.
A Palazzo Chigi sono convinti che l’ex prefetto di Milano abbia imparato la lezione di sabato scorso. Anche se la potenza iconografica dell’assalto alla Cgil e i video del forzanovista Giuliano Castellino che ne annuncia il raid un’ora prima da un palco – dove non sarebbe dovuto salire – hanno colpito molto Mario Draghi. Anche perché hanno gonfiato le vele di Giorgia Meloni. E a un movimento che, al netto delle frange sovversive, è molto eterogeneo.
Finora la blindatura del premier a Lamorgese è stata a doppia mandata. L’ha sempre difesa dagli attacchi quotidiani della Lega e di Fratelli d’Italia sulla gestione dei migranti. Ma anche sul rave illegale nel Viterbese (un morto) e sulle polemiche per il tour della Nazionale campione d’Europa nella capitale. Draghi ripete spesso che al Viminale serve un ministro pienamente legittimato. Nelle azioni, non tanto nell’arte dialettica della politica.
E dunque poco importa se l’altro giorno, alla Camera, Meloni abbia giganteggiato rispetto alla ministra, che si è esibita nella lettura di due paginette poco esaustive sui fatti di sabato scorso. Martedì alla Camera Lamorgese esporrà la sua relazione dettagliata. Ma prima c’è l’esame di oggi: la prova del green pass.
In molti in queste ore si interrogano anche sul perfetto allineamento tra i vertici del Viminale e quelli dell’intelligence. Circostanza che potrebbe essere mancata sabato scorso nella fondamentale trasmissione delle informazioni. Un cortocircuito che non si può ripetere.