Perché non sta in piedi questa cosa di Draghi al governo fino al 2023
Ancor più arduo proiettare l’ex presidente della Bce oltre le elezioni politiche. Esiste un partito di Draghi? No. Le soluzioni arruffate e sconclusionate non convincono mai
Questa cosa di Draghi che governa fino al 2023 e oltre non convince. Già l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica che non sia Draghi, con la prosecuzione del governo in carica fino a fine legislatura, ha il sapore di un’avventura difficile, probabilmente impossibile. Appena insediato al Quirinale il nuovo inquilino, chiunque egli sia, la pressione per nuove elezioni immediate si farebbe estrema e penetrerebbe nei piani alti della maggioranza attuale. Di fronte agli imperativi del piano di rinascita, e con una notevole forzatura, sarebbe possibile organizzare una linea di resistenza allo scioglimento delle Camere, ma si inizierebbe comunque la campagna elettorale e le conseguenze ricadrebbero per intero sul governo Draghi in carica. Si perderebbe l’effetto dell’esecutivo di emergenza, decisionista per la missione affidatagli e per un concorso di circostanze che la nuova situazione rimetterebbe in discussione integralmente.
Quanto al futuro appena più lontano, proiettare Draghi oltre le elezioni politiche, che a quel punto diverrebbero la materia del contendere, scatenando ovviamente gli appetiti e i desideri antagonisti di gruppi, partiti, persone oggi decisivi per l’equilibrio della soluzione lanciata da Mattarella con l’ex governatore della Bce, sarebbe una fantasia patologica. Esiste qualcosa che è anche più di un blocco sociale o una maggioranza politica a favore della scelta di Draghi come soluzione di emergenza aperta a tutti e tutti comprendente: c’è un’Italia trasversale, forte e viva, che ha salutato il decisionismo operativo e pragmatico del presidente del Consiglio come un’ancora di sicuro riferimento nel complicato percorso di uscita dalla crisi pandemica e da altri antichi mali del paese. Ma esiste un partito di Draghi, una coalizione che possa decentemente portare il suo nome come segnacolo in vessillo di una politica riformista unitaria? No, non esiste.
Si può costruire, allora? Prospettare che Draghi resti alla guida dell’esecutivo per anni, oltre la linea di confine del rinnovo del Parlamento come effetto di una campagna elettorale, è una bella suggestione che costa niente. Ma può diventare un progetto realistico? Bisognerebbe sospendere la naturale dialettica delle forze in campo. Per un’operazione significativa, occorrerebbe che Meloni e Salvini, le due leadership dell’opposizione che gioca da fuori e dell’opposizione che gioca da dentro l’operazione Draghi, sparissero. Dovrebbe decomporsi anche solo il ricordo di una coalizione di centrodestra e tutto ciò che è stata la Lega del Truce dovrebbe staccarsi da sé medesima. Una coalizione attiva di tutto il centro, con i governatori delle Regioni, i leghisti di governo, i berlusconiani dovrebbe emergere come soggetto politico di un’alleanza con il centrosinistra, con tanto di programmi e obiettivi comuni. E’ credibile che questo accada, e che lo schema della missione Draghi sia così forte da riscrivere in un anno di campagna elettorale tutte le regole fin qui prevalse nella nomenclatura? No, è evidente che no. E allora si esporrebbe Draghi, che non è così ingenuo, o un vago draghismo che non si sa dove sia di casa, alla replica dell’operazione che tentò in solitario Mario Monti, e che non fu capita né da lui né dal paese. Le soluzioni arruffate e sconclusionate, appunto, non convincono.
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