I ministri di FI contro Tajani: zuffa sul capogruppo. E il Cav. scende a Roma
Raccolte 26 firme per l'elezione del capogruppo alla Camera che sostituirà Occhiuto: è la manovra dell’ala governista. L’ipotesi Barelli, filosovranista imposto da Tajani, vacilla. E intanto Berlusconi arriva nella Capitale: per risolvere la baruffa e per vedere Meloni e Salvini
Il capogruppo di Forza Italia alla Camera? Contestate le indicazioni verticistiche, si fa largo l’ipotesi che venga eletto con una votazione interna tra i deputati. Questa è l’ipotesi che infiamma e divide il gruppo azzurro, alle prese con la grana dell’individuazione del successore di Roberto Occhiuto, neopresidente della regione Calabria. La proposta “democratica” - volta a stoppare l’incoronazione di Paolo Barelli, presidente di Federnuoto, benedetta dal coordinatore nazionale Antonio Tajani - è in fondo già di per sé un'anomalia che dà il segno del travaglio di un partito in cui, nel bene o nel male, l'investitura dall'alto, una benedizione del Cav., valeva a risolvere qualsiasi questione. E invece stavolta a Berlusconi tocca perfino scomodarsi per scendere a Roma: sia per un vertice di pacificazione con Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo la sconfitta elettorale, sia perché domani, a mezzogiorno, è prevista l'assemblea del gruppo di Montecitorio chiamata a decidere il suo nuovo presidente.
La questione, chissà se grave, è comunque certamente sria. Perché a promuovere la sommossa, o insomma a chiedere una votazione formale, sono proprio i tre ministri di Forza Italia, espressione tutti di quell’ala del partito che si riconosce nelle posizioni filodraghiane che sono anche quelle di Gianni Letta. Ed è propsio su impulso dei ministri che è stato tirato fuori il “codicillo”, ovvero il regolamento del gruppo che perimetra le modalità di elezione del presidente.
La strategia anti-Barelli (o meglio: anti-Tajani) è già in atto: per raggiungere l’obiettivo della votazione erano necessarie 25 firme di deputati, e il documento promosso dalla triade governativa ne ha raccolte già 26. I componenti della delegazione forzista nel Consiglio dei ministri, del resto, vedono come fumo negli occhi l’ascesa alla carica di capogruppo di Barelli, considerato filosovranista, con sensibilità non ostili rispetto alla Lega, nonché esponente della nomenclatura romana reduce da una performance poco entusiasmante alle comunali (la lista ha raccolto solo il 3,59 per cento). Da qui era emersa la proposta alternativa di Sestino Giacomoni (protagonista di una discussione accesa proprio con Tajani, venerdì scorso a Villa San Martino, alla presenza di Berlusconi).
Tra reciproche accuse e veleni, l’ipotesi di affermazione di una procedura democratica, allo stato, stoppa Barelli e congela l’alternativa Giacomoni: per eleggere il capogruppo, nel caso di una votazione interna, ci vorrà la maggioranza assoluta nella prima votazione, la maggioranza semplice nella seconda. Di fatto si cristallizzerebbe ancora una volta una spaccatura, fotografata dalla conta che sancirebbe vincitori e vinti. Sullo sfondo è ancora possibile una mediazione: deposti Barelli e Giacomoni, la diplomazia azzurra lavora per una figura meno divisiva. E così, mentre Berlusconi non si sbilancia, sono stati preallertati per una “soluzione armoniosa” Valentino Valentini, già vicario di Occhiuto, il rassicurante (volto televisivo) Alessandro Cattaneo, o nel caso di una scelta rosa, Annagrazia Calabria e Stefania Prestigiacomo.