Città nella città
La massa astensionista, l'antipolitica, i candidati, il futuro. Parla il politologo Luca Ricolfi
Quale lezione trarre dal voto nelle città, in cui ha prevalso il centrosinistra? "C'è un inabissamento dell'offerta sovranista. E molto centra Draghi", dice l'accademico torinese
A urne chiuse e risultati chiari un dato si impone: in molte città ci sono intere “città nella città” che non hanno votato, perché (dato nazionale) soltanto il 43,93 si è recato alle urne, e a Roma l’affluenza è stata la più bassa dal 1993. Che cosa è successo? Da dove viene questo abnorme astensionismo? Che legame ha, se c’è l’ha, con l’antipolitica? Sembra quasi che il cittadino per così dire stanco dei partiti – quello che prima si faceva stregare dallo slogan dell’uno vale uno o dalla chimera del reddito di cittadinanza o dalla rassicurazione sulla lotta all’immigrazione clandestina – sia ora demotivato al punto da non votare più. E ci si domanda se l’antipolitca come bandiera sia alla deriva finale. Ma è davvero così?
Elezioni comunali, quanto ha pesato l'astensionismo? Parla Ricolfi
Il sociologo e politologo Luca Ricolfi pensa che “i motivi dell’astensionismo, specie al secondo turno, possano essere più di uno. Candidati non entusiasmanti, soprattutto quelli di destra a Roma e Milano. Sensazione che ormai sia tutto in mano a Mario Draghi, e che i partiti non contino più nulla. Inabissamento dell’offerta politica populista-sovranista, che ancora pochi anni fa intercettava più del 50 per cento dell’elettorato, e che oggi è quasi tutta diventata governativa (chi avrebbe mai detto, anche solo un anno fa, che Lega e Cinque Stelle avrebbero sostenuto un governo tecnocratico come quello di Draghi?). Oggi quel sentiment populista è adeguatamente rappresentato solo da Giorgia Meloni, che però – ovviamente – non può coprire tutto lo spettro delle sensibilità politiche anti-establishment. E poi c’è un elemento, banale, che non si considera mai”. Quale? “Il Covid. Indipendentemente da quel che ognuno pensa del vaccino, del green pass e di tutto il resto, sta di fatto che una frazione non trascurabile dell’elettorato pensa che recarsi in un luogo pubblico chiuso (come il seggio elettorale) possa essere rischioso. Magari poco rischioso, ma comunque un po’ rischioso. Se non stravedi per un candidato, perché correre quel rischio? Secondo me, al primo turno, una parte del calo di affluenza è dovuto semplicemente a ‘prudenza sanitaria’, o meglio a un calcolo costi-benefici: a fronte di benefici trascurabili o incerti, anche un piccolo rischio può apparire eccessivo”.C'è
In un momento in cui si assiste a un corpo a corpo sul reddito di cittadinanza, chissà se c’è un nesso tra astensionismo di ritorno e parassitismo post-assistenzialista di cui parlava Ricolfi nel suo saggio “La società signorile di massa” (ed. La nave di Teseo). “Secondo me un nesso non c’è”, dice il professore, “o se c’è è debole: l’assistenzialismo della società italiana è un tratto storico, la cui origine risale alla fine degli anni Sessanta. Oggi l’Italia è una società signorile di massa, ma non lo è molto più di quanto già lo fosse alle elezioni precedenti”.
I candidati secondari e le scelte sbagliate nelle città
Un altro dato colpisce: ci sono “candidati secondari” che, in questa tornata, in alcune città, hanno avuto un grande successo. Che cosa nel loro messaggio ha attratto l’elettorato per altri versi, come si è visto, tentato dall’astensione? “Dipende da città a città”, dice Ricolfi: “Un po’ può essere stata la debolezza di molti candidati principali, un po’ il prestigio di alcune figure alternative ai candidati principali. Penso ad Antonio Bassolino a Napoli e, per motivi del tutto diversi, Carlo Calenda a Roma. Chi ha fiducia in Mario Draghi, tendenzialmente, apprezza Calenda”. E infatti, attorno ai risultati del voto amministrativo, c’è chi, fin dal primo turno, guardava oltre: al futuribile fronte dei riformisti.
Equilibri istituzionali