Cinque balle dell'èra Draghi
La verità su Pd e M5s, il campo largo che non basta, il Quirinale fatto a misura di Draghi, il proporzionale da cui non scappare, il piano B della destra che non c’è. Una guida alla nuova stagione
Ci sono almeno cinque balle postelettorali che meritano di essere smontate con urgenza e leggerezza per provare a orientarci senza retorica nelle settimane politiche che verranno. La prima balla coincide con un’affermazione che più passa il tempo e più fatica a stare in piedi. L’affermazione è questa: il grave problema con cui deve fare i conti oggi il Pd riguarda il suo rapporto impossibile con il M5s e le elezioni amministrative sono lì a dimostrare che il futuro di Enrico Letta non può che essere lontano dai vecchi populisti grillini. Prima o poi, con molto rispetto, bisognerà dire che questa affermazione è una sciocchezza e che il problema del Pd non è se accettare o no il M5s sotto la propria tenda (si può negare che il M5s sia un avversario dei principali avversari del Pd?) ma è inventarsi qualcosa di nuovo per dimostrare di sapere esercitare all’interno della coalizione un vero ruolo guida. Il problema, per il Pd, non è chiedersi se mandare a quel paese il M5s, come è evidente a un certo punto saranno i dirigenti attuali del M5s a mandarsi a quel paese a vicenda, ma è chiedersi in che modo replicare a livello nazionale un prezioso laboratorio politico come quello di Bologna, dove la coalizione progressista, per così dire, è riuscita a tenere insieme tutto, alleati, programmi, idee e persino primarie.
La seconda balla che merita di essere smontata è quella che vede il centro di Carlo Calenda e di Matteo Renzi alternativo alla ampia coalizione del centrosinistra. Non è così, non sarà così, non può essere così e fino a che esisterà l’attuale legge elettorale, che è un proporzionale con una robusta correzione maggioritaria, i nemici del nazionalismo sovranista saranno destinati a vivere sotto la stessa tenda e a comportarsi come se fossero di fatto all’interno di un unico grande contenitore formato da varie correnti.
La terza balla da smontare è quella che riguarda la presenza, in Italia, di un vento improvvisamente cambiato, di un vento di sinistra, e la verità che il Pd dovrebbe avere il coraggio di ammettere a se stesso è che gli ottimi risultati ottenuti nelle città difficilmente ci sarebbero stati in presenza di una destra autolesionista e respingente come quella di oggi. Non significa voler togliere meriti al Pd, e a Enrico Letta, ma significa solo tenere gli occhi aperti su un problema grave che esiste all’interno del cosiddetto Nuovo ulivo: i nemici sono chiari, ovvio, ma non basta autodefinirsi un “campo largo” per offrire ai propri elettori un sogno forte, concreto e non solo algebrico in cui identificarsi. La quarta balla da smontare riguarda le conseguenze che potrebbero avere le elezioni amministrative sul futuro del Quirinale. Si dice: il Pd si rafforza e dunque l’ascesa di Draghi al Quirinale, che il Pd non vuole, si fa più complicata. Falso: il Pd si rafforza e il tema del non votare Draghi al Quirinale anche per non esacerbare i rapporti con il M5s è un tema che, con un Pd saldamente al comando della coalizione, non esiste più, e se l’intero centrodestra dovesse arrivare, come sembra, all’appuntamento con il dopo Mattarella proponendo il nome di Mario Draghi per il Pd dire di sì sarebbe meno difficile rispetto a qualche mese fa. La quinta grande balla da smontare riguarda invece il centrodestra la cui situazione drammatica è stata perfettamente colta da Giorgia Meloni, che a poche ore dalle sconfitte di Roma e Torino si è chiesta: ma come diavolo possono convivere, in un’unica coalizione, un partito che dice di no al governo Draghi, uno che dice di nì all’agenda Draghi e uno che dice di sì all’agenda Draghi? Una soluzione per risolvere questo enigma sarebbe scommettere, come qualcuno nella Lega sta iniziando a pensare, su uno scenario nuovo, più simile a un sistema proporzionale che a un sistema maggioritario, mossa che consentirebbe tra l’altro alla Lega di non perdere a favore di Fratelli d’Italia gran parte dei seggi uninominali che sondaggi alla mano il partito di Meloni rischierebbe di sottrarre al partito di Salvini. Mossa che avrebbe un suo senso (saggiamente un proporzionale ieri lo ha rilanciato anche Carlo Calenda) ma che implicherebbe uno scenario al momento difficile da immaginare: la capacità da parte di Salvini e Meloni di avere in tasca un piano B diverso da quello attuale. Anche questa, allo stato attuale, sembra una balla grande come una casa.