Governo insufficiente sulle tasse

Luciano Capone

Draghi e Franco hanno stabilito che solo un terzo della manovra andrà sulla riduzione delle tasse (8 miliardi) e non hanno ancora spiegato cosa cambierà per le imprese e i lavoratori. Piano vago e occasione persa (per ora)

Il Documento programmatico di bilancio (Dpb) è stato approvato all’unanimità in Consiglio dei ministri, senza che nessuno ne conoscesse il contenuto. A parte il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco. Gli altri erano stati ovviamente informati delle “principali linee di intervento che verranno declinate nel disegno di legge di Bilancio”, ma è proprio su come verranno “declinati” i 23 miliardi della manovra che un po’ tutti brancolano nel buio. E questo anche dopo l’invio del Dpb a Bruxelles, cioè quando il documento è diventato pubblico.

Tasse, cosa cambierà per imprese e lavoratori

Erano già emerse tensioni sugli angoli da coprire con la coperta corta della manovra: la Lega e i sindacati – separati dall’antifascismo e uniti dalle pensioni – tirano per avere qualcosa in più di Quota 102; il M5s vuole spostare più risorse su Reddito di cittadinanza e Superbonus; il Pd punta sulla riforma degli ammortizzatori sociali; Forza Italia e Italia Viva tirano la coperta per la riduzione delle tasse. E queste tensioni sono destinate ad aumentare quando i partiti leggeranno il Dpb e si renderanno conto che i saldi non coincidono con quanto fatto filtrare nei giorni scorsi. Ad esempio per le “misure in materia pensionistica”, ovvero l’annunciata Quota 102, il governo prevede di spendere 600 milioni (molto meno dei circa 4 miliardi di Quota 100). E per il Reddito di cittadinanza si prevede uno stanziamento aggiuntivo di 800 milioni, leggermente inferiore a quanto annunciato (1 miliardo). Ma in generale pare quasi che i partiti non stiano neppure provando a fare delle proposte, e che stiano semplicemente aspettando il responso di Draghi e Franco. Il caso più rilevante riguarda il fisco.

 

Il governo ha stabilito che solo un terzo della manovra andrà sulla riduzione delle tasse: 8 miliardi. E di questi, 2 miliardi saranno impiegati per contenere l’aumento del costo dell’energia in bolletta. Restano quindi 6 miliardi per la riforma fiscale (a cui vanno aggiunti 2 miliardi già presenti nel tendenziale), che però nessuno sa come verranno impiegati. Dai saldi del Dpb si nota che – rispetto al tendenziale che prevedeva un aumento della pressione fiscale dal 41,8% del pil nel 2021 al 42,1% nel 2022 – per effetto della manovra la pressione fiscale subirà un lieve calo: 41,7% (-0,4 punti rispetto al tendenziale). Riduzione delle imposte sì, ma quali? E su chi? Sembra tramontata, anche per i dubbi della Confindustria, l’ipotesi del superamento dell’Irap, e cioè dell’abbattimento dell’imposta per una quota di piccole imprese e dell’accorpamento con l’Ires per la restante parte. Cosa farà quindi il governo con questi 8 miliardi? Meno tasse sulle imprese o sui lavoratori? Oppure un po’ di entrambe le cose?

Il problema è proprio che non si sa che idee abbia il governo. Sempre spulciando i numeri del Dpb, pare che il governo sia intenzionato a dividere la posta tra imprese e lavoratori. Ma sarebbe solo la conferma che il governo sul fisco non ha una direzione precisa da indicare al paese e agli operatori economici. Già le risorse a disposizione, 8 miliardi, non sono molte, se poi la decisione dovesse essere quella di usarle per intervenire su più imposte i risultati sarebbero impercettibili. Accantonata l’idea del superamento dell’Irap con un parziale accorpamento con altre imposte come l’Ires, non resta che un intervento sull’Irpef. Ma anche in questo caso le modalità possono essere diverse.

 

Manovra, perché per il governo è un'occasione persa

La prima è una modifica di aliquote e scaglioni, in particolare concentrandosi sui contribuenti della terza fascia, quelli tra 28 e 55 mila euro di reddito a cui si applica un’aliquota del 38%. Ma 8 miliardi sono pochi per un intervento generalizzato di questo tipo. Non a caso i governi che hanno mobilitato risorse analoghe hanno scelto una strada diversa, ad esempio rimodulando le detrazioni o i trattamenti integrativi. E’ ciò che ha fatto il governo Conte II, che ha potenziato il bonus Irpef di Renzi da 80 a 100 euro e ampliato la platea con un intervento che è costato 2 miliardi in meno degli 8 messi ora a disposizione. Un taglio analogo del cuneo fiscale, attraverso un aumento delle detrazioni, fu fatto dal governo Prodi nel 2007. All’epoca il ministro delle Finanze Tommaso Padoa-Schioppa stanziò una somma analoga (7,5 miliardi), suddividendo la posta tra imprese e lavoratori. Ma nessuno si accorse molto dell’effetto. C’è da dire che quella di Prodi e Padoa-Schioppa fu una manovra correttiva, che riduceva il deficit di oltre un punto di pil. Mentre ora il governo fa, all’opposto, una politica espansiva che aumenterà il disavanzo di oltre un punto di pil. A maggior ragione gli 8 miliardi messi sulla riforma fiscale sembrano scarsi.

 

Si tratta ovviamente di epoche e situazioni molto diverse, ma nulla nel contesto attuale impedisce a Draghi e Franco di ridurre in maniera più incisiva le tasse su chi produce. Se non ora, quando?

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali