Il premier cristallo
La terza via di Draghi. Quirinale o Palazzo Chigi? E se lasciasse invece lui?
Al Qurinale lo si elegge con un'elezione condivisa, una “democratica incoronazione del Parlamento”.
La politica lo strattona e rischia di non saper tutelare un patrimonio di credibilità. Lo vuole al Quirinale convinta di poter ottenere elezioni. Potrebbe essere Draghi infastidito a sciogliere il problema e lasciare. Attenzione
Rischiano di non saperlo eleggere come presidente della Repubblica, di perderlo come premier, di rompere un cristallo. Lo vogliono “assumere” come garante ma a “condizione che”, “in cambio di”, “se è pronto a”. E’ così che i partiti italiani tutelano una “figura patrimonio”, “la voce della nuova Europa”? C’è una possibilità che non è mai stata esplorata e che merita invece di essere percorsa. E’ la possibilità che Mario Draghi si sottragga a questo mercato di cariche, a questo commercio di futuro. E’ il rischio concreto che quel pezzo d’Italia, quel pezzo che lo vuole “immettere” al Quirinale, lo perda a Palazzo Chigi. E’ il rischio che questa corsa senza decoro (dove lo mandiamo?) indisponga un uomo di decoro. Esiste un partito, che non è un partito, e che vuole bene al presidente, che oggi avvisa: “La sua reputazione non può essere diluita in questo chiacchiericcio. Se dovesse accorgersi di essere il problema sarà lui stesso a sciogliere il problema”.
Significa che si sta dando per acquisita una disponibilità che non è mai stata incondizionata. E’ stato “convocato” dalla politica in difficoltà. Non è mai stato Draghi ad avere bisogno della politica. Significa dunque che potrebbe essere il premier a lasciare e non qualcuno a stabilire dove e quando “debba andare”. Il dibattito sul suo futuro viene infatti definito “confuso” da chi per fortuna confuso non lo è mai stato. I più accorti lo ritengono addirittura “pericoloso”. Si tratta di pensieri che non sono attribuibili a Palazzo Chigi, ma di una maggioranza silenziosa che è interessata alla stabilità e che conosce i pensieri di Palazzo Chigi.
Innanzitutto c’è qualcosa di grossolano nel modo in cui i partiti si avvicinano a questa elezione del capo dello stato. Dell’irritualità se ne è già parlato. Della sensibilità, che si dovrebbe tenere di fronte a un presidente che esce, se ne è già scritto. Quello che non si è detto è che questo “portiamo Draghi al Quirinale” non può essere gestito con la goffaggine e l’interesse di Matteo Salvini e Giorgia Meloni che ripetono: “Eleggiamo Draghi al Quirinale e andiamo a votare”.
Nello stesso tempo la sua permanenza a Palazzo Chigi non può essere collegata al calendario del Pd e del M5s. In questo caso l’agenda e il mandato sono fissati dal Pnrr. Tutto quello che Draghi pensa è stato pronunciato in pubblico: “C’è molto da fare”. La maggioranza che vuole bene a Draghi è preoccupata. Dice: “Rischiamo di perdere un gigante e tornare ad avere dei nani”. Dopo il risultato delle amministrative c’è chi gli vuole scegliere i corazzieri, i quadri da appendere, stabilire i suoi viaggi da emerito. Pensare di eleggere Draghi e ripetere “così andiamo a elezioni” non fa torto a Draghi. Racconta solo una certa irresponsabilità e anche una certa dimenticanza dei partiti che adesso si dicono perfino irritati. Lamentano, come nel caso del Documento programmatico di Bilancio, di aver ricevuto il testo in ritardo e solo a ridosso del Cdm. Fanno finta di non ricordare che sono stati loro a tenere aperta la trattativa. Chi ha visto il documento sa che si sta parlando di una tabella. Sarebbe quindi questo il documento segretissimo che non sarebbe stato inoltrato ai ministri con anticipo?
Chi è angosciato di perderlo come premier e di non averlo come presidente spiega che la sua elezione al Quirinale è davvero l’unico modo per mettere in sicurezza l’Italia ma si ottiene solo “dopo aver messo in sicurezza Draghi”. Se davvero si vuole scegliere come il successore di Mattarella serve un’elezione condivisa, una “democratica incoronazione del Parlamento”. E servirebbe la figura del “regista”, ruolo che nella scorsa elezione è stato svolto da Matteo Renzi ma che al momento nessuno sembra capace di ricoprire.
Serve ancora un sostituto di Draghi, un uomo o una donna di competenza e rigore assoluto. Sono i grandi italiani come funzione, gli italiani che corrispondono, dice ancora la maggioranza che vuole salvaguardare questo tempo, “ai Sabino Cassese”. Se si vuole lasciare governare Draghi non si può mettere in discussione l’arco delle forze che lo sostengono. In un governo che diventa di “una parte”, verrebbe a mancare lo spirito del governo sopra le parti. C’è in pratica una specie di mercimonio del “brand Draghi” che viene fatto dai partiti. Cercano di vendere un capo di successo chiamato a riparare il loro insuccesso.