dopo il voto
La tattica suicida di Letta sul ddl Zan
Il segretario Pd è stato incapace di leggere i segnali e controllare i suoi a Palazzo Madama. Una strategia, quella sulla legge contro l'omotransfobia, non adatta a una forza che si propone di guidare il paese da posizioni di governo
Il rinvio in commissione della legge Zan, voluta dal Pd, sollecita una riflessione sulla tattica dimostratasi suicida adottata da Enrico Letta, che solo all’ultimo momento aveva aperto timidamente a un confronto, affidandolo però proprio a Zan che non aveva nessuna intenzione di portarlo a un esito produttivo. I casi sono due: o Letta era convinto che ci sarebbe stata comunque una maggioranza favorevole in Senato, o pensava che anche una sconfitta sarebbe stata meglio che una modifica parziale del provvedimento. Nel primo caso si evidenzia una preoccupante incapacità di leggere i segnali e probabilmente anche di controllare il gruppo senatoriale. Nel secondo, invece, emergerebbe una concezione della politica che preferisce imporsi che convincere, una volontà di forzare la situazione peraltro non accompagnata dalla forza necessaria per seguire tale condotta comunque tendenzialmente arrogante. Anche la reazione, basata sulla identificazione dei “traditori” nel gruppo di Italia viva, corrisponde a questa logica e prelude a una pericolosa torsione dell’orientamento del centrosinistra esclusivamente verso i 5 stelle.
Qualche malizioso potrebbe addirittura sospettare che a Letta, in fondo, vada bene così. Non ha scontentato gli estremisti dell’ideologia gender, dimostrando di non voler rinunciare alla teoria della cosiddetta identità di genere, ma contemporaneamente, con la legge congelata sine die, accontenta anche gli ambienti cattolici che la avversano.
Quali che siano le motivazioni, la tattica adottata dal Pd non è adatta a una forza che si propone di guidare il paese da posizioni di governo: ha sventolato una bandiera ma non ha ottenuto risultati concreti, l’esatto contrario di quel che ci si aspetta da una leadership affidabile. C’è solo da sperare che, dopo le contumelie verso gli avversari e gli “infedeli” delle prime ore, si passi a un esame delle proprie responsabilità e dei propri errori. Condizione necessaria, anche se non sufficiente, per evitare di commetterne altri.