la fantasia
Ma quanto ci fa godere la marcia trionfale del Cav. verso il Quirinale?
Solo Berlusconi riesce a rendere palpabile un sogno improbabile, come una sua trionfale investitura al Colle. La sua resistenza accanita da capopopolo spavaldo è già in sé un blasone che meriterebbe i corazzieri
Ma quanto ci fa godere la marcia trionfale del Cav. verso il Quirinale? Anche se si ritenga inevitabile l’elezione di Draghi, e auspicabile per tante ragioni già dette, l’agenda presidenziale di Berlusconi ha uno charme inimmaginabile. Ha combattuto da vero guerriero contro i tentativi di incastrarlo giudiziariamente per qualche presunto difettuccio etico e ora è circondato, lasciamo perdere i dettagli, da un’aura di Assoluzione&Riabilitazione, mentre la casta togata dei suoi persecutori si dibatte tra logge “Ungheria” e scontri velenosi di potere, e la Ilda poi è riuscita nel capolavoro sentimentale di immettere un eroe nazionale nel romanzetto rosa della sua autobiografia, un caso di furbizia levantina, come direbbe lei. Gli arcinemici pendono dalle labbra della Cassazione che deve statuire essa, improbabile arbiter dell’eleganza mondana, se fossero o meno eleganti le sue cene di Arcore e di Palazzo Grazioli, bum. Questa resistenza accanita ai poteri forti di un capopopolo da sempre espressione di un potere debole ma spavaldo è già in sé un blasone che meriterebbe i corazzieri.
Prendiamola però dall’angolatura politica purissima. Il Cav. riesce a rendere realistica, e palpabile oltre ogni inverisimiglianza, una prospettiva politica che il bookmaker valuterebbe come altamente improbabile. Quando si leggono articoli e si osservano grafici sulla forza del candidato di bandiera del centrodestra, 411 votazzi che non esistono se non per sventolare quella bandiera, ormai, un sentimento di ammirazione che non è mai svanito riemerge prepotente. Li ha riportati a casa sua per la più classica delle photo-op, con la novità dei cani, e la casa non è più Arcore, non più il palazzo del duca, no, è la vecchia villa sull’Appia del compianto Franco Zeffirelli, l’amico leale ripagato dalla lealtà in un rapporto tra grandi star del pop e del kitsch internazionale. Aria di rinfresco, di rinnovamento abitativo, un salto di qualità a dimensione di nuove posture sognanti. E i giornali devono registrare mosse e mossette, atti e attuzzi, di un presidente potenziale che intanto raduna le sue truppe, e poi occhieggia all’esterno, nuove formazioni di centro, gruppo misto, dissidenti e parlamentari sparsi che non vogliono giustamente anticipare la fine del mandato, e che diamine, cribbio; insomma Berlusconi vede questo e vede quello, carezza il consenso di cui non ha mai fatto le viste di poter prescindere, lui, il Cav., l’uomo con il sole in tasca disponibile a mostrarlo a tutti.
Dietro all’impresa, qualunque ne sia poi l’esito, una onorevole sconfitta, magari, o un ritiro aristocratico dopo aver fatto prendere uno spaghetto ai rancorosi, c’è una logica di ferro: sono centrale, sono famoso, sono ricco anche di esperienza, mi ancoro a destra ma la staffetta la feci con i Monti e i Renzi, più o meno volentieri, e io che sono stato bruciato in effigie come borghese piccolo piccolo dagli scicconi ora mi ritrovo a tu per tu con un Draghi da me nominato sul piedistallo che condusse alla Bce, un borghese che è l’opposto simmetrico dei profanatori della casta e dei denunciatori delle élite. Infine c’è il personale, la determinazione privata di un uomo laser (definizione di Gianni De Michelis) a realizzare tutto il possibile compreso l’impossibile. Al fondo del credere di Berlusconi nella prospettiva di una sua trionfale elezione presidenziale, tra lo strabuzzo universale dei musi lunghi e offesi, c’è la saggezza rabbinica classica: “Se non sono io per me, chi sarà per me? E se non ora, quando?”.