Il caso
Quirinale, le mosse di Di Maio: va da Bettini e poi avvisa il Cav.: "Salvini ti frega"
I timori di Conte e le manovre del titolare della Farnesina. Sul Capo dello stato l'ex premier si gioca la leadership del M5s
L'attivismo del ministro degli Esteri in vista della partita del Colle: i rapporti con il guru dem e gli avvertimenti a Forza Italia
“Scusate, ma dov’è Luigi?”. Risposta di un collaboratore un po’ imbarazzato: “Presidente, in tv a presentare il libro”. In questi giorni Giuseppe Conte è tornato a farsi domande senza risposte quando pensa a Di Maio. Lo cerca. Non lo trova. Cosa avrà in mente il ministro degli Esteri per il Quirinale? Tutti raccontano all’ex premier del movimentismo sfrenato dell’ex capo politico grillino. Giorgetti, Casini, Franceschini, Gianni Letta. Di Maio si muove da solo. Conte ha un timore figlio della disfatta rossogialla sul ddl Zan.
L’avvocato del popolo teme che lo strappo di Matteo Renzi – subito attaccato da Di Maio: “Ormai è passato con il centrodestra” – possa in qualche modo motivare il titolare della Farnesina a manovre ancora più spericolate. E solitarie. Forte della fotografia scattata l’altro giorno in Senato: la maggioranza di centrosinistra non è proprio a prova di cannone. La partita di Di Maio e del M5s si gioca a specchio con quella del Pd. Enrico Letta dice di aver rotto i rapporti con Iv, ma allo stesso tempo quando pensa al Colle è consapevole che difficilmente un Parlamento con il 35 per cento di grillini potrà mai votare un esponente del Pd (come, per esempio, Paolo Gentiloni).
Conte e Letta sono legati dal voto di gennaio: se dovessero subire un candidato espressione del centrodestra (Pier Ferdinando Casini) le loro leadership potrebbero saltare. Per la gioia di Renzi e chissà – ma sono cattiverie – anche di Di Maio. Che tra oggi e domenica, G20 permettendo, è atteso da Goffredo Bettini. Deve portargli il libro che ha scritto: “Un amore chiamato politica”.
Vai a capire cosa si diranno Bettini, il monaco sapiente del Pd più in sintonia con Conte che con Enrico Letta, e il felpato Di Maio. Il guru dem si sa come la pensa sul Quirinale: Mario Draghi e un patto per non sciogliere le Camere per arrivare senza ansie fino al 2023. La fissazione draghiana è strategica: è meglio che sia il Pd, pensa, a intestarsi l’ascesa del premier piuttosto che subire l’elezione di un altro candidato, magari espressione dell’altro campo. Questa ipotesi convince anche Di Maio che ovviamente si tiene aperte mille strade. A partire dal dialogo con il centrodestra. Ecco, a proposito di questo, il ministro degli Esteri crede che Salvini “stia fregando Berlusconi”. Facendogli credere che alla quarta votazione ci saranno i numeri per l’elezione. Magari questo messaggio del grillino arriverà prima o poi, in maniera più o meno diretta, al Cav. E sarà il motivo per iniziare a ragionare su altri schemi.
Tutto si muove anche nel centrodestra dove Giorgia Meloni, l’unica interessata sul serio al voto anticipato, non può permettersi di votare un presidente che imbulloni la legislatura al 2023 e che magari nasca dalla spinta della coppia Renzi-Salvini (ipotesi Casini). Lo scenario è così ingarbugliato che al momento nessuno riesce ad accendere la luce. Anche perché sempre da loro, dai grillini, bisognerà iniziare a ragionare. Sono la prima forza del Parlamento, continuano a contare una lunga serie di mine vaganti all’interno del gruppo. Per non parlare degli ex, quelli transitati nel Misto, ma ancora in ottimi rapporti con tanti big pentastellati. E qui si ritorna al mobile Di Maio e ai timori del neo presidente M5s. Le loro strategie coincideranno alla fine? C’è chi giura di no. Da qui forse l’intervento di Bettini. A proposito dov’è Luigi? Non si trova. Ma non ditelo a Conte.