Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Sì: Draghi al Colle è l'opzione migliore per l'Italia del business

Andrea Tavecchio

Per ricevere tutti i 240 miliardi del Pnrr servirà approvare le riforme e effettuare gli investimenti indicati nei tempi pattuiti con la Commissione. Altrimenti niente fondi europei: la garanzia di stabilità è Draghi al Quirinale

A volte leggendo i commenti sul tema prossimo Presidente della Repubblica sembra che sfugga che c’è un elefante nella stanza. Il funzionamento concreto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Semplificando un tema complicato le cose stanno più o meno così. L’Italia avrà diritto a ricevere, se rispetterà non pochi milestone e target nel prossimo quinquennio poco più di 190 miliardi di euro di fondi direttamente dalla linea di credito collegata al Pnrr. Di questi circa 60 miliardi saranno a “fondo perduto” mentre circa 120 saranno a titolo di finanziamento. A questi 190 miliardi sono da aggiungere oltre 40 miliardi tra fondi complementari nazionali – già stanziati – e vari fondi europei da riattivare. Questi sono i famosi 240 miliardi su cui in tanti, sia nella politica che tra l’opinione pubblica, fanno affidamento per credere che la strada, adesso, sia in discesa per il nostro paese.

 

Lo cose non stanno esattamente così. Queste disponibilità, con una certa dose di semplificazione, saranno accordate in via definitiva all’Italia solo dopo che la Direzione Generale Recover della Commissione Europea avrà valutato che l’Italia sta tenendo fede sia agli impegni qualitativi (le c.d. riforme) sia agli impegni quantitativi cioè di capacità concreta di investimento nei progetti del Pnrr. Questi i milestone ed i target di cui si diceva sopra.

 

Queste verifiche saranno semestrali (con una verifica importante già alla fine del 2021) e solo a valle di questi controlli avverranno i pagamenti previsti, che saranno però anticipati provvisoriamente dal Ministero delle Finanze (Mef). Per il successo del Pnrr da adesso in poi conterà solo questo. Che vengano approvate in via definitiva le riforme promesse e che vengano effettuati gli investimenti che sono stati indicati. Il tutto nei tempi pattuiti con la Commissione.

 

Se questo non avverrà i fondi non verranno più erogati e potenzialmente verranno chiesti indietro i fondi già anticipati. Questo meccanismo di controllo semestrale non è pensato per essere una finzione. La Direzione Generale Recover ha, infatti, già iniziato il confronto con i Governi nazionali ed ha fatto capire che non si tratterà di una “bollinatura” formale, ma di analisi serie e rigorose. Insomma, il Pnrr è certamente “l’occasione” per l’Italia, ma sarà fonte anche di tensioni tra forze politiche e tra la politica e l’alta burocrazia statale. È anche facile prevedere che le pulsioni antieuropee torneranno di moda quando si capirà che i fondi del Pnrr non sono un regalo per non fare niente e vivacchiare, ma un tassello su cui l’Europa vuole misurare – nel concreto e non a parole – la nostra affidabilità. E qui torniamo al tema prossimo presidente della Repubblica.

 

Dalla lettura dei giornali non pare irragionevole pensare che non appena sarà eletto il nuovo presidente della Repubblica le forze politiche, con le elezioni a quel punto alla vista, cominceranno a smarcarsi dal “metodo Draghi” e a piantare bandierine. Nessuno avrà certezze su niente, a partire da quale sarà la legge elettorale. In questo contesto il buon senso (ed anche la teoria dei giochi) ci dicono che lo scenario più probabile è la guerra balcanica. Il tutto contro tutti. Guerra che si scaricherebbe ovviamente anche sull’azione di governo. Senza nessuna garanzia che la confusione smetta il giorno dopo le elezioni, indipendentemente da quando saranno.

 

Un vero pasticcio anche per i nostri partner europei che vedono nel successo del Pnrr in Italia un tassello fondamentale per la tenuta della costruzione europea nel suo complesso. Senza certezza sugli scenari politici per l’Europa quindi la risorsa di ultima istanza sarà un filo diretto con il Quirinale. È già successo. E da qui la domanda. Chi far rispondere al telefono della Commissione?

 

Capiamo la paure di chi vorrebbe cercare di cristallizzare la situazione attuale, ma così non sarà non bisogna farsi illusioni. La prudenza dice che Mario Draghi al Quirinale – per sette anni pieni – sarebbe la migliore garanzia di stabilità prospettica del nostro paese sia per il suo prestigio internazionale (e ne avremo bisogno), sia per la sua conoscenza della macchina dello stato che dovrà far marciare il Pnrr anche in mezzo a possibili tempeste politiche. Se deraglia il Pnrr la stessa stabilità del sistema è a rischio.