La storia

Il dimenticato Bossi. La Lega di Salvini non gli paga più l'autista a Roma: "Ingrati"

Simone Canettieri

L'amarezza del vecchio fondatore del Carroccio, sempre più lontano dal leader del Carroccio. Ma il Senatur è pronto a ritornare in occasione del voto per il capo dello stato

Lassù ancora lo venerano. Addirittura c’è chi gli vorrebbe comprare un’altra casa per trasformare la villetta di Gemonio in un museo della Lega, vittoriale del “celodurismo” (bandiere, ampolle,   scritti di Pontida, manifesti storici). Quaggiù, a Roma, Umberto Bossi si sente invece il vecchio capo dimenticato, messo da parte da un partito guidato da ingrati. Ecco, questa parola ricorre da un po’ nei pensieri dell’Umberto (e della sua famiglia). Solo che non ha più voglia di urlare e piantare casini: evita le uscite pubbliche, rifiuta interviste e palcoscenici. C’è un fatto che non gli va giù. E c’entra Matteo Salvini. Da diversi mesi la Lega ha tolto al suo fondatore   due persone, un autista e un collaboratore, che servirebbero a portarlo a Roma quando ci sono i lavori parlamentari. 


Il partito di Matteo Salvini paga questi due addetti bossiani, ma solo  in Lombardia affinché aiutino e seguano il vecchio capo negli spostamenti in zona. Ma non è disponibile a farsi carico delle spese di  per le trasferte romane settimanali di Bossi (vitto e alloggio negli hotel). Certo, per esercitare la sua funzione di parlamentare il Senatùr potrebbe pagare di tasca propria, ma considera questo benefit come una guarentigia. Un bastone che non si può togliere al grande nonno. O forse più semplicemente  un atto dovuto a chi insomma, tra “Va’, pensiero” e Padania,  è stato il creatore di un mondo. Di un immaginario bizzarro e rude, ma anche molto reale e radicato lassù: sdoganato e portato al governo. La Lega Nord, la Padania, l’indipendenza. E poi certo quintalate di folklore peloso spesso poco gradevole e gradito sotto il Rubicone. Comunque storia.

L’ultima volta che Bossi ha fatto capolino a “Roma ladrona” è stato accompagnato dal figlio Renzo, fu Trota. E ha subìto questa trasferta come uno smacco. Forse   l’ennesimo segnale di un rapporto con Matteo Salvini abbastanza inesistente. Il segretario del Carroccio per il compleanno di ottanta anni del fondatore della Lega Nord gli ha inviato a  casa un biglietto di auguri. I due non si sentono. I bossiani dicono pure che quando “il capo” nel 2019 ebbe un malore e  fu ricoverato d’urgenza all’ospedale di Varese, l’allora ministro dell’Interno fu tra i pochi a non telefonargli. Leggende impastate di malumori che  rivelano però una distanza incolmabile. Questione di linea politica e anche, forse, di una serie di piccoli e grandi segreti   che da sempre avvolgono la Lega, specie nei momenti più bui. 


Bossi non perdona a Salvini la svolta nazionalista, il Nord barattato per i voti del Sud, l’autonomia finita in un cassetto. Salvini considera comunque la presenza del fondatore ingombrante, sa che che le sue parole ancora pesano  tra le valli della Lombardia, pubblicamente lo rispetta, ma sembra evitare qualsiasi tipo di confronto relegandolo al passato con una coda non proprio gloriosa.  All’ultimo consiglio federale del Carroccio, quello delle scuse di Giorgetti, pare che il fondatore non sia stato invitato.   Ma  a dicembre, all’assemblea del partito, difficilmente  rimarrà in silenzio, nonostante la voce e l’emozione ormai gli giochino brutti scherzi in pubblico.  “Giorgetti è più furbo”, dicono a Gemonio. Perché il ministro che tante ne ha viste ha conservato un legame molto solido con Bossi.  Tanto da citarne, nei momenti difficili,  i saggi insegnamenti  (tipo quello di non leggere i giornali quando soffia la bufera per non farsi condizionare).  Quel piccolo ma significativo pezzo di partito che ancora va in pellegrinaggio nel varesotto spera in un ruggito del leone.  Soprattutto nelle prossime settimane, quando entrerà nel vivo la corsa per il Quirinale. Un rumore di fondo che a Salvini potrebbe dar fastidio, e tanto.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.