AP Photo/Alastair Grant 

Oltre la Cop 26

Non ascoltate i critici. Il bla bla di Glasgow sul clima è un toccasana per il futuro

Claudio Cerasa

Meno ideologia, più privati. Meno isterismo, più gradualità. La transizione del futuro è tutta qui

Un po’ meno Greta e un po’ più capitalismo. C’è una splendida notizia che arriva dal vertice sul clima di Glasgow. Una notizia che non troverete sulle prime pagine dei giornali ma che costituisce la vera svolta culturale sul tema della lotta contro il riscaldamento globale. La notizia è che il principale successo che arriva dalla Cop26 è l’essere riusciti a spostare il dibattito sul clima verso un binario che dista anni luce da una retorica catastrofista che aveva alimentato un’illusione farlocca: l’idea che fosse possibile occuparsi delle temperature che aumentano mettendo in campo politiche svincolate dalla crescita economica. Roger Pielke Jr., famoso politologo dell’Università del Colorado, anni fa, in un saggio pubblicato sulla Yale Environment 360 e ripreso giovedì dal Financial Times, ha sostenuto con anticipo sui tempi “che le politiche climatiche che richiedono sacrifici pubblici e che limitano la crescita economica sono destinate al fallimento” e ha ricordato che per avere successo le politiche di riduzione delle emissioni devono promettere “benefici reali e devono contribuire a rendere l’energia pulita più economica”.

In questo senso, si può dire, anche leggendo le bozze conclusive del vertice di Glasgow, che il successo della Cop26 è aver messo a  tema tre punti non banali. Primo: i privati, le imprese e i capitalisti non sono nemici ma alleati della transizione (formidabile il principe Carlo al G20 di Roma, quando ha ricordato che i governi da soli non possono affrontare i problemi legati al cambiamento climatico e che per governare con realismo questo tema occorre affidarsi al settore privato). Secondo: non c’è transizione ecologica possibile senza crescita e, come ha detto Barack Obama, senza “gradualità” (e a proposito di gradualità, con  realismo l’Italia ha scelto di non essere tra i paesi  firmatari di un accordo presentato a Glaskow per mettere al bando le auto con motore termico entro il 2035: “dobbiamo affrontare la transizione ecologica con un approccio tecnologicamente neutrale”, ha detto giustamente il ministro Giancarlo Giorgetti). Terzo: gli obiettivi di riduzione delle emissioni saranno raggiunti solo a colpi di investimenti nell’innovazione, solo mettendo in concorrenza tra loro le fonti di energia (neutralità tecnologica, of course), e non a colpi di politiche che puntano a restringere il perimetro dell’economia e a intaccare il benessere dei cittadini (vedi il caso dei gilet gialli in Francia).

 

Gli ambientalisti integralisti criticheranno la Cop 26 perché si riconosce che al traguardo delle emissioni zero si può arrivare passo dopo passo, e non in un momento preciso e prestabilito. Ma la verità è che essere passati da una politica utopistica a una più realistica (impegni a perseguire politiche coerenti, fattibili e realistiche, ognuno con le proprie politiche domestiche) è il segno che i grandi del mondo hanno capito che l’unico modo per parlare di clima è fare un passo al di là della stagione della demagogia. Nel 2015, ha notato ancora il Financial Times ieri in un articolo di elogio del bla bla bla di Glasgow (per un ripasso, leggetevi il Carlo Stagnaro degli ultimi giorni), i più importanti paesi del mondo cercarono di arrivare agli accordi di Parigi sul clima portando sul palco degli incontri politici, ministri, scienziati, attivisti. Oggi a Glasgow, sul palco ci sono imprenditori, finanzieri e funzionari monetari. E sono qui non solo perché hanno a cuore forse più di un tempo l’agenda della lotta contro il climate change. Ma sono qui per ricordare che la transizione deve aiutare gli stakeholder della globalizzazione a trasformare questa fase in una stagione di opportunità. E il fatto che al suo debutto in Borsa, tre giorni fa, un produttore di veicoli elettrici di nome Rivian, che ha alle spalle circa mille vetture prodotte negli ultimi anni e un solido investitore di nome Jeff Bezos, abbia registrato, al suo esordio al Nasdaq, un valore di mercato superiore a Ford, General Motors e Stellantis, è una finestra aperta sul mondo che verrà. Meno isterismo, più gradualità. Meno ideologia, più privati. La transizione del futuro è tutta qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.