L'analisi
L'allarme del Mef spiega perché sul Pnrr ci stiamo complicando la vita da soli
L'incognita del 40 per cento delle risorse da spendere nel mezzogiorno. E intanto la Spagna corre più di noi, sul Recovery
I vincoli sul sud, gli obiettivi trasversali su donne e giovani. Nobili battaglie, ma combattute per via burocratica. Di Nuzzo, massimo responsabile sul Recovery, lancia un avviso ai naviganti. E Chieppa, da Palazzo Chigi, dice: "Occhio a non ripetere l'errore fatto con l'anticorruzione"
Lo spettro innominabile è stato Roberto Chieppa a evocarlo. “Abbiamo già avuto l’esperienza della burocrazia della anticorruzione, che cercherei di non replicare”. E siccome è il segretario generale di Palazzo Chigi, uno che insomma sta nella stanza dei bottoni, a segnalare il rischio che le giuste battaglie del Recovery scadano presto in prassi cervellotiche, allora vuol dire che il problema è reale. “Alcuni degli obiettivi che abbiamo voluto inserire nel Pnrr non è stata la Commissione europea a imporceli. Ma ora la Commissione ci chiederà di rispettarli”, ha convenuto Carmine Di Nuzzo, che guida il servizio centrale del Piano dal Mef. Eccolo, dunque, nelle parole di chi li vive ogni giorno, il paradosso italiano sul Recovery.
L'allarme del Mef sull'attuazione del Pnrr
E qui però il discorso si fa scivoloso, le sane provocazione si prestano alle proteste degli strumentalizzatori d’ordinanza, allo scandalo a comando degli ingenui. Perché le complicazioni che il governo italiano, sollecitato in questo dal Parlamento e dalla cosiddetta società civile, ha voluto infliggersi sulla strada già accidentata del Pnrr sono di per sé sacrosante. Occupazione giovanile, riduzione delle disparità di genere, un’attenzione particolare al Mezzogiorno. Tutto innegabilmente doveroso. Di fronte a un tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro che in Italia è del 53,8 per cento, e cioè di oltre 13 punti in meno rispetto alla media europea, l’obiettivo di aumentare del 4 per cento l’occupazione femminile di qui al 2026 è il minimo sindacale. E col 28 per cento di Neet tra i 20 e 34 anni, poco meno del doppio degli standard comunitari, sarebbe arduo sostenere che non sia prioritario raggiungere quell’aumento di 3,2 punti nella quota di occupazione giovanile, come stabilito nel Pnrr.
Ecco cosa frena l'applicazione del Recovery
Solo che poi, come spesso succede, la via italiana alle nobili cause è sempre quella burocratica. E dunque ecco che ogni settimana, oltre a tutte le incombenze che già devono sbrigare, i responsabili legislativi dei vari ministeri si ritrovano a dover compilare questionari e certificazioni che attestino che sì, quel certo progetto che stanno approvando nell’ambito del Pnrr, rispettano davvero i parametri necessari, oppure a chiedere ai rispettivi sottoposti di commissionare ai loro funzionari una ricerca che fornisca un monitoraggio aggiornato sul tema indicato. E insomma eccolo, il senso dell’allarme lanciato da Roberto Chieppa di fronte alla platea riunitasi in Viale dell’Astronomia per assistere a un convegno sul Pnrr: “Alcuni obiettivi trasversali, quali le condizionalità in favore di giovani e donne o quelle in favore delle disabilità, sono importantissime per far recuperare terreno al nostro Paese su questi temi ma non devono ridursi a meri adempimenti burocratici, che costringono amministrazioni, soggetti attuatori e imprese a riempire moduli o fare un numero imprecisato di report”.
Riflessione a parte, in questo discorso, merita poi il sud. Perché “la Commissione europea non ci aveva imposto alcun vincolo di ripartizione delle risorse”, ha spiegato Di Nuzzo, alto funzionario del Mef scelto da Daniele Franco per guidare il servizio centrale del Mef sul Pnrr. E lo ha spiegato, Di Nuzzo, col tono di chi sembrava voler fare intendere che non è stata una gran bella idea. Perché quel vincolo sul 40 per cento di finanziamenti da destinare al meridione – cifra calcolata in modo un po’ scolastico facendo le media tra la quota di infrastrutture per la mobilità (56 per cento sul totale) e il tasso di spesa complessivo sull’ecobonus (10 per cento sul totale) indirizzata al mezzogiorno – che è stato voluto inserire nel Pnrr anche per dare una risposta politica agli amministratori locali da Napoli in giù, è ora diventato un parametro così rigido che tanti ministeri iniziano a lamentarsi, costretti come sono a fare bandi assai più complicati di quelli che sarebbero valsi, almeno in questo momento, a garantire l’impegno per la riduzione del gap territoriale di fronte agli osservatori di Bruxelles. I quali ora, invece, inchiodandoci al nostro stesso zelo vagamente autolesionista, già iniziano a domandarsi sospettosi se davvero le regioni meridionali saranno in grado di rispettare gli impegni. “Anche perché – ha ricordato Di Nuzzo – dei 50 miliardi che componevano i fondi strutturali per il sud nella programmazione 2014-2020, solo la metà è stata spesa al momento, quando mancano due anni al limite ultime per l’utilizzo di quelle risorse”. Non un precedente rassicurante, ecco. Anche se è vero che la Spagna, che insieme all’Italia è l’altro stato membro perennemente in ritardo nella spesa dei fondi di coesione, è stato il paese più lesto a raggiungere i target di fine anno e chiedere a Bruxelles l’erogazione degli 11,5 miliardi che le spettano come seconda tranche del Recovery. L’Italia quella procedura la concluderà a fine novembre, pare. Per dire insomma di come la missione del Pnrr è già troppo complicata di suo, per accettare di complicarsela ulteriormente da soli.