I nuovi direttori
La Rai di Fuortes manda in tilt Conte: “Traditi dal Pd, ora vendetta sul Colle”
Giovedì a Napoli il Cda per ratificare le nomine: il membro del M5s voterà no
Il capo del M5s boicotta la tv pubblica. Accusa Letta e sfida Draghi. Ma Di Maio gioca da solo
La posa è marziale. Sala dei Postergali del Senato, sei di sera. Giuseppe Conte sta per dichiarare guerra alla Rai. Ma anche, tra le righe, al premier Mario Draghi. Alle sue spalle il capo del M5s ha tutta la nomenklatura grillina. Il ministro Stefano Patuanelli, i capigruppo di Camera e Senato, Davide Crippa e Maria Castellone. Facce imbronciate sotto le mascherine. Rocco Casalino, in un angolo, si raccomanda con lo sguardo: “Giuse’, forza, cattivo”. Conte si abbassa la mascherina. L’annuncio è clamoroso: “Nessuno di noi andrà più nella tv pubblica, Fuortes ha esautorato solo noi, il primo partito di maggioranza”. Denuncia una lottizzazione ad excludendum. Si chiude così la giornata delle nomine a Viale Mazzini. E si aprono scenari interessanti. Almeno nelle intenzioni. Conte più tardi confiderà che questo strappo “inquina i rapporti con il Pd, ma anche la partita del Quirinale”. Visto che c’è, fa arrivare messaggi a Di Maio di questo tipo: se Luigi andrà in tv lo farà contro il Movimento. È la coda di 24 ore surreali nel triangolo delle Bermuda Rai-Palazzo Chigi-partiti. Dove tutto si mischia e si confonde. Giovedì mattina l’ad Carlo Fuortes porterà a Napoli le nove nomine da far votare al cda. Il membro grillino Alessandro Di Majo voterà contro.
In parole semplici il M5s di Conte ce l’ha con l’ad Fuortes e con il governo perché di nove nomine nessuna ha baciato l’area grillina (sempre meno nutrita: in Rai tutti hanno già cambiato cavallo). Al Tg1 ritorna da direttrice Monica Maggioni con il via libera di Draghi e, magari, anche grazie ai buoni rapporti con Paolo Gentiloni. Prende il posto di Giuseppe Carboni, che gli ascolti avevano premiato, e che era sta nominato dal governo Conte. E’ l’unico in questo valzer a non essere stato ricollocato. “E’ stato l’omicidio Carboni o forse, meglio, un Carbonicidio”, raccontano di aver ascoltato nella redazione del Tg1 dal diretto impallinato. Chissà se sarà vero. Tutto il caos delle trattative discende dal telegiornale della rete ammiraglia. I grillini hanno fatto di tutto per sbarrare la strada a Maggioni. Appoggiata però a titolo personale da Luigi Di Maio, si narra.
Le ultime ore di trattative sono state così convulse che Fuortes si è fatto molto aiutare da Palazzo Chigi per chiudere il cerchio (i maligni lo chiamano “Deboles” o il “Fantasma dell’Opera”, per via del suo precedente lavoro di soprintendente). La pratica è finita nelle mani del tandem Giavazzi-Funiciello, con quest’ultimo in versione terzino fluidificante. Alla fine Maggioni al Tg1, Gennaro Sangiuliano confermato al Tg2, Simona Sala, in quota dem, al Tg3. Al posto di Mario Orfeo (incubo dei pentastellati eccetto sempre Di Maio) che andrà a dirigere il genere degli approfondimenti giornalistici. Ai tg regionali è stato confermato sempre in quota Lega il giorgettiano Alessandro Casarin. Forza Italia rinnova Antonio Preziosi a Rai Parlamento e incassa Alessandra De Stefano a Rai Sport. Anche Fratelli d’Italia batte un colpo. Giorgia Meloni, rimasta fuori dal cda, ora può contare su Paolo Petrecca a capo di Rai News; era il vice di Andrea Vianello (difeso dal Pd) che andrà a dirigere l’informazione in radio. Prima di arrivare a questi nomi se ne sono viste e sentite di tutti i colori.
Telefonate allarmate da Saxa Rubra (“Mi dicono che Lucia Goracci abbia preso le ferie e sia partita con un aereo da Istanbul per tornare a Roma: che andrà a dirigere?”). Oppure annunci di rinvio delle nomine: opzione mai contemplata da Mario Draghi, molto sensibile a chi insinua rallentamenti della spinta di governo. Fuortes fino alla fine non si è fatto trovare dai direttori che aveva in animo di cambiare. Ma fondamentalmente si è trovato a trattare – aiutato da Funiciello – con due partiti in uno. Di Maio da una parte, Conte dall’altra. E se l’ex premier diceva “mai Maggioni”, il ministro degli Esteri spiegava “perché no?”.
Un gioco di ruoli nella palude dei partiti. Anche Draghi è finito in mezzo a questo pantano. Consapevole che il tema del “pluralismo in Rai e delle scelte che ne derivano non sono colpa del governo, sono i partiti ad avere la maggioranza del cda”.
Una presa di coscienza. Una cosa è nominare i vertici dell’Anas, un’altra i direttori dei Tg della Rai. Fuortes, diventato l’ammazza-Conte, rivendica l’uso di giornalisti interni per le direzioni, senza papesse straniere per il Tg1. Alla fine l’ambiguità di leadership del Movimento ha fatto bene a tutti gli altri partiti, eccetto che ai grillini. Lo spettacolo generale è stato abbastanza modesto. Al settimo piano di Viale Mazzini puntano molto sul ruolo offerto a Orfeo e sperano che con la riforma dei generi (che si sostituiscono alle direzioni di rete) si possa finalmente entrare nel futuro.
Ma bisogna ritornare in Senato. Conte è furioso. Fa sapere di aver parlato con Draghi, di essersi lamentato (eufemismo) con Fuortes, adesso propone l’Aventino. O meglio l’autocensura. “La tv di stato con noi ha chiuso”. Ma nessuno ci crede fino in fondo: durerà l’autoeditto? “E come faremo sotto Finanziaria a non parlare dei nostri temi?”, chiedono i deputati M5s alla viceministra dell’Economia Laura Castelli. Raccontano che Conte ce l’abbia con Enrico Letta e che mediti vendetta quirinalizia. Soprattutto Conte sta cercando Di Maio. Ma non lo trova. Dov’è Luigi? Vorrebbe andare a “Chi l’ha visto”, ma non può più.