Caro nemico mio
Meloni-Letta, nasce il "melonlettismo". Patto su legge elettorale: "Non modifichiamola"
Sposati da Vespa, il loro Fra Cristoforo, Letta e Meloni si sono ufficialmente uniti nel divorzio, si sono giurati di essere i prossimi compatibili nemici
Alla presentazione del libro del giornalista va in scena la coppia che si intende. Dalla legge elettorale al Quirinale. Letta: "Sia scelto da maggioranza larga". Meloni: "Berlusconi ha fatto un passo indietro". Così Meloni-Letta preparano il loro duello da possibili sfidanti per Palazzo Chigi
Si intendono perché sono l’intesa senza malinteso, la giacca e il pantalone, “mamma Meloni” e “professor Letta”, la fierezza del contrario. Anche ieri, al Tempio di Adriano, alla presentazione del libro di Bruno Vespa, Enrico Letta e Giorgia Meloni hanno indossato gli abiti comodi della “compagna” Giorgia e del “patriota” Enrico, si sono presentati come gli arcinipoti della storia, gli avversari che sarebbero piaciuti a Donna Letizia, la signora buone maniere. Erano loro la prova del “saper vivere”. E’ stato infatti, e subito, un “come ha detto bene Enrico” e “ho ascoltato con attenzione le parole di Giorgia”. Ignazio La Russa, a cui veniva chiesto di che sostanza fosse fatta questa speciale complicità, rispondeva che siamo di fronte a una “coppia di fatto”, una nuova categoria: il melonlettismo. Letta e Meloni hanno infatti siglato il “patto Puskin”, la garanzia che il loro duello non avverrà sotto il fuoco della legge proporzionale. Erano insomma magnificamente noiosi.
Sono stati anche loro “vespizzati”, che è il trattamento della Roma “ma caro, come stai? Non potevo perdermelo”, un museo di vecchie star televisive, bastoni damascati, lozioni e dopobarba, cipria e occhiali fumé, costituzionalisti e paparazzi. Per Letta è stata perfino la piccola emozione, una specie di master consegnato dal “rettor Bruno”: “Finalmente dopo ventitré anni di vita politica ho ricevuto questo privilegio: presentare il libro di Vespa. Fino a ieri mi sentivo quasi un peone. Non ero nessuno. Oggi entro nella Serie A”.
E’ arrivato prima lui mentre si è fatta aspettare lei e questa volta era vestita di bianco che è la neutralità dell’armadio, la non belligeranza, un modo per proteggersi da chi vede sempre tutto, e troppo, nero. Cosa ci faceva lo studente di Beniamino Andreatta, che Letta ricorda sempre “è stato un partigiano bianco, il mio esempio di antifascismo”, con l’erede della tradizione Almirante, la “mujer” della nuova destra italiana, la “mujer” che prometteva a Matteo Salvini la lealtà, perché io “sono monogama?
Studiavano da rivali che si aiutano. Annunciavano la prossima presentazione di un libro, ancora una, in pratica la terza in poche settimane. Si separavano sull’operato del governo e su un Draghi senza Draghi. Concordavano sul Quirinale ma non su tutto. Concordavano, ad esempio, sul lodo Letta: “A mio avviso il prossimo presidente della Repubblica si deve eleggere con la più larga convergenza”. La leader di FdI, con l’abilità di chi vuole dire qualcosa ma attribuendola a qualcun altro, provava a raccontare che “la candidatura di Berlusconi come presidente della Repubblica non è facilissima. Dalle sue ultime parole mi sembra che sia stato lui a voler fare, per il momento, un passo indietro”. Letta lodava Draghi, “meno male che c’è” e diceva “che fa bene a incontrare la leader di FdI”. E lei a quel punto sorrideva perché “se Draghi mi ascolta, come dice Vespa, è perché le mie proposte sono sensate”.
Tornava invece in versione “Vox”, versione Evita, quando denunciava il “piano indegno”, quel piano che prevede al posto di Draghi un altro premier indicato da Draghi perché, anticipava la leader di Fdi, “do per scontato che si tenti di fare un altro governo nel caso Draghi dovesse andare al Quirinale. C’è un limite a tutto”. Aggiungeva che per “il premier sarà sempre più difficile governare perché la litigiosità dei partiti di maggioranza aumenterà”. Tutto il peggio che “i compatrioti” Letta-Meloni si sono detti è “io non sono d’accordo”.
Letta chiedeva alla Meloni per quale ragione la destra dell’ordine e della sicurezza, non riesce a essere sui vaccini il partito della fermezza. Meloni replicava “non ha mai chiesto di fare un passo indietro, ma uno in più” e si opponeva al super green pass che è la proposta di Massimiliano Fedriga, il presidente del Friuli Venezia Giulia che Salvini dovrebbe abbracciare, aiutare, sostenere. Ieri è stato Letta a dire: “Io sto con Fedriga”, una frase che è vera eversione, la fuga alla francese, la vera astuzia da segretario. Un’altra era la frase “sul taglio delle tasse io e Giorgia abbiamo una posizione simile. Vanno tutti per la riduzione delle tasse sul lavoro”.
Era un’altra manovra non tanto da Sciences Po, ma da malandrino toscano. Quando è stato eletto segretario la prima leader d’opposizione che ha chiamato è stata lei. Sulla presidenza del Copasir, la presidenza che la Lega non voleva lasciare a Fdi, è stato ancora Letta a prendere le difese della Meloni. Prima che Luigi Di Maio li superasse avevano in comune un primato. Erano i ministri più giovani della repubblica. Sposati da Vespa, il loro Fra Cristoforo, Letta e Meloni si sono ufficialmente uniti nel divorzio, si sono giurati di essere i prossimi compatibili nemici.