Così Draghi pensa a inserire la riforma delle concessioni balneari in legge di Bilancio
Le riunioni a Palazzo Chigi, i contatti tra Giavazzi e il Consiglio di stato. L'idea è di anticipare il censimento delle concessioni in manovra, per poi indire le gare con una norma da varare in Parlamento in tempi rapidi
Una via possibile, più che un sentiero tracciato. Ma comunque il primo passo verso la soluzione obbligata. Già in legge di Bilancio Mario Draghi pare intenzionato ad affrontare la questione dei balneari. E’ in quel provvedimento che andrà inserita la norma per avviare il censimento delle concessioni dei beni pubblici sul territorio nazionale. Una misura preliminare, certo. Ma che dà il senso del necessario cambio di passo deciso a Palazzo Chigi. Perché al momento quella mappatura è inserita nel disegno di legge Concorrenza, licenziato dal Cdm il 4 novembre scorso, ma prevede tempi assai più dilatati. Quelli concordati al termine di una negoziazione al ribasso condotta dal premier per non indispettire troppo la Lega; quelli, cioè, di una delega assegnata dal Parlamento all’esecutivo per provvedere al censimento “entro sei mesi”, ma solo al termine dell’iter di approvazione della legge. Non se ne parlerebbe, insomma, prima dell’autunno del 2022.
Poi però il Consiglio di stato, con la sua sentenza, ha ridefinito urgenze e tempistiche, sancendo l’illegittimità della proroga al 2033 delle concessioni balneari approvata dal Conte I. Rendendo ancor più necessario intervenire con solerzia, sull’argomento, anche in virtù di una procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea ai danni dell’Italia. E dunque i consulenti del premier, guidati dall’economista Francesco Giavazzi, stanno studiando una soluzione. Che prevedrebbe di avviare, proprio tramite la Finanziaria in discussione ora al Senato, “la costituzione di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici, al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori”. Significa anticipare di circa un anno gli esiti della ricerca, e nel frattempo procedere alla messa a gara effettiva delle concessioni, magari attraverso un emendamento da inserire al ddl Concorrenza – attualmente ancora fermo a Palazzo Chigi per gli ultimi controlli, e forse anche per lo scrupolo di chi pensa a una sua eventuale correzione, ripassando dal Cdm – nel momento in cui arriverà in Parlamento.
Questa è la soluzione abbozzata a Palazzo Chigi, discussa già con alcuni esponenti politici di maggioranza, che sarà oggetto di ulteriori verifiche che i collaboratori del premier vogliono condurre anche confrontandosi col Consiglio di stato, presieduto da Filippo Patroni Griffi. C’è da capire, ad esempio, in che forma inserire la mappatura all’interno di una norma delicata, com’è la legge di Bilancio, e che dovrebbe riguardare solo norme con ricadute contabili (in effetti dalla revisione delle concessioni e dei canoni, ridicolmente bassi al momento, ne deriverebbe un sostanzioso aumento di gettito per lo stato). E poi ci sarà da definire i parametri per la messa a gara.
In ogni caso si agirà in fretta, pare. Di certo prima di quel 31 dicembre 2023 che i giudici amministrativi hanno indicato come termine ultimo della validità delle attuali concessioni. E magari un segnale bisognerebbe darlo anche prima di febbraio, quando da Bruxelles arriverà il parere motivato sulla procedura d’infrazione che la Commissione ha rinnovato nei nostri confronti. E forse è proprio sentendo aria di accelerazione, che ieri anche Matteo Salvini, da sempre risolutamente contrario a qualsiasi forma di messa a gara delle concessioni, ieri ha iniziato a ricevere le associazioni di categoria del settore.