Elogio del Cav. a caccia di voti per il Colle
Berlusconi è sereno e senza paura. La sua salita al Quirinale è una missione difficile, ma chissà. Trenta con lode e abbraccio accademico
Anche per un draghista forsennato come me, la campagna presidenziale di Berlusconi è fantastica. In poche mosse il Cav. ha liquidato come un’anticaglia paramassonica l’esoterismo delle procedure da seggio elettorale segreto, senza candidature né discussione. Si è candidato sfacciatamente, quando l’uso è respingere da sé l’eventuale amaro calice, tanto più se si muoia di sete. Ha voluto formalizzare il già noto, per sua iniziativa, con un opuscolo addirittura, beninteso inviato a tutto il corpo elettorale parlamentare. Ovviamente si è rimesso in movimento alla ricerca di alleanze e legittimazioni internazionali, via Partito popolare europeo. Ma il suo è un pallottoliere trasparente, visibile, che buca il segno di riservatezza e indifferenza (apparenti) al consenso che è costume in queste occasioni solenni. Colloqui alla luce del sole, inviati in tour quirinalizio, dichiarazioni di fedeli e componenti il suo staff, richiami all’ordine, tattiche contro le alternative possibili, richiami a Draghi perché resti incollato a Palazzo Chigi dove è indispensabile, ce n’è per tutti.
Non basta. Il Cav. sa che la via diretta è per lui la migliore, comunque poi vada a finire. È quella che gli assomiglia e che nutre la sua vocazione democratica, lui che sarebbe l’iniziatore di un populismo plebiscitario, demagogico e miracolistico, e invece niente. Il consenso nella democrazia delegata è sacro, bisogna cercare l’appoggio degli eletti. Se servono i voti grillini, il Reddito di cittadinanza è una misura da mantenere, i cui inconvenienti sono largamente superati dai benefici. E passi per le riserve e le ubbie confindustriali, le obiezioni liberali letteraliste, il Cav. in caccia è superiore a ogni disciplina dottrinale che non preveda la ricerca aperta e tremendamente esplicita del massimo consenso possibile. Il consenso per Berlusconi non è un concetto teologico secolarizzato, non è astrazione metafisica, è aritmetica. Qual sia la sua base di partenza, da coltivare nella rete delle relazioni politiche e personali, è il primo conto della serva. Poi si aggiungono i voti del possibile addizionale, da cercare e consolidare in quello che i detrattori moraleggianti definiscono come il mercato delle vacche.
Uomo della democrazia e del mercato, per lui sinonimi, il Cav. non ha alcuna remora non solo a cercare i voti di mezzo, quelli che fanno la differenza decisiva, ma si impegna con puntiglio. Lo vedo con l’espressione sempre più iconica del vecchio che ha vissuto bene e ha cura di sé, ben illuminato, mentre si fa la terza dose e invita tutti a vaccinarsi, pollice alzato prima della punturina, indice e medio allargati in segno di vittoria passati sul buchetto appena incerottato, sorriso più che d’ordinanza, aria allegra, la presidenza della Repubblica mediante afflato di consensi personali è impresa per lui carnale, e la incarna da sé solo senza indugio e senza paura.
È ovviamente consapevole che si tratta di un percorso accidentato, difficile, ma è il tipo che gioca le sue carte con sicurezza, tempismo volitivo, on s’engage et puis on voit. Forse ha anche carte nascoste, chissà. Diabolica la sua capacità di negoziare e rinegoziare su ogni tavolo possibile, ciò che ha reso formidabile il suo cursus degli onori e dei disdori, ciò che lo ha sempre reso temibile come un leone della società aperta anche nelle imprese più azzardate. Intanto spazza via la polverosa consuetudine, una delle sue conquiste brillanti al servizio del rinnovamento italiano, e incamera il nuovo status di candidato alla prima magistratura d’Italia malgrado i suoi rapporti non idilliaci con il sistema di giustizia che ha cercato per decenni di spezzarlo e cucinarlo in brodo. Trenta con lode e abbraccio accademico.