Improvvisi silenzi
L'inabissamento mediatico di Paola Taverna in tempi sì vax
Un tempo onnipresente in tv, la vicepresidente del Senato del M5s ultimamente non spicca per loquacità. Non a torto, considerati i precedenti: le parole sulle malattie esantematiche e sui bambini "non vaccinati e sani", le liti in studio, l'imbarazzo del partito sul rafforzamento del green pass
Che fine ha fatto Paola Taverna, vicepresidente del Senato a cinque stelle, membro della nuova segreteria di Giuseppe Conte nonché vicepresidente del M5s? Solitamente molto presente sui teleschermi, fin dai tempi pre-contiani (e addirittura dai primi giorni della legislatura 2013-2018, quando era nota per i suoi stornelli oltreché per la vis polemica ancora verace e non passata attraverso i filtri degli uffici comunicazione), la senatrice Taverna ultimamente pare essersi alquanto inabissata dal punto di vista mediatico, pur essendo presente nei retroscena sull’elezione del capogruppo al Senato. E già in quel caso la nuova versione carsica della senatrice – un po’ emersa, un po’ sommersa – era stata collegata alla non-vittoria del fedelissimo taverniano Ettore Licheri e alla nomina di Mariolina Castellone.
E però non soltanto a questa circostanza si pensa sia dovuta la mancata onnipresenza della (un tempo) spavaldamente televisiva Taverna, tanto che ancora c’è chi ricorda le gesta della senatrice ai tempi in cui, sotto la diarchia Beppe Grillo-Casaleggio padre, soltanto pochi eletti avevano il permesso, pur concesso obtorto collo, di andare nei tanto vituperati talk-show. E lei, Taverna, ci andava eccome, sfoggiando l’accento romanesco come medaglia di provenienza non partitica, e poi ha continuato ad andarci, mentre studiava Scienze Politiche e perfezionava l’arte della lotta su piccolo schermo. E adesso però, oltretutto in tempi di nuovi anatemi anti-tv a cinque stelle, Taverna pare prediligere pacati interventi via Facebook sull’apertura dell’anno accademico (alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella) o sull’assegno unico per i figli: parole istituzionali e comunque neutre.
Eppure Taverna non è una che stava zitta su argomenti sensibili, anzi. Specie sull’argomento ora sensibile per antonomasia – i vaccini – Taverna ha invece un piccolo curriculum di presenze tv e dichiarazioni che oggi, se le venissero rinfacciate in studio, non farebbero certo un favore al Movimento, già di suo impegnato a non apparire tiepido sulla questione delle questioni (green pass rafforzato e dintorni). Ad avere memoria, insomma, e negli studi tv ospiti e autori magari ce l’hanno, Taverna potrebbe apparire come una vicepresidente del Senato dai trascorsi non proprio turbo-vaccinisti (anzi) — e non era ancora comparso il Covid. C’è stata per esempio la frase detta a “Piazzapulita”, su La7, nella puntata del 22 ottobre 2015, quando la senatrice, allora in Commissione Sanità, a domanda rispondeva citando una sentenza sul vaccino capace di causare l’autismo.
Più recentemente, nel marzo scorso, a “l’Aria che Tira”, Taverna si scontrava con il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Roncone, dopo che un’inviata della trasmissione l’aveva intercettata mentre parlava di vaccini in questi termini: “[…] Un bambino non vaccinato è un bambino sano. Quando ero piccola, quando avevo un cugino che aveva una malattia esantematica, facevamo la processione a casa di mio cugino, perché così la zia si ‘sbrugliava’ tutti e sette i nipoti”. E quando Roncone le chiedeva se non si vergognasse di quelle posizioni, Taverna rispondeva: “Abbia l’accortezza anche lei di provare un po’ di vergogna per come la stampa ha strumentalizzato la frase. Ho un disegno di legge per informare la popolazione sui vaccini piuttosto che obbligarla”.
E che dire di quando, nell’agosto del 2018, Taverna interveniva in Aula sull’obbligo vaccinale? “L’unica cosa che noi continuiamo a respingere al mittente”, diceva, “è la possibilità di voler trattare gli italiani come delle pecore che devono essere obbligate piuttosto che informate”. E insomma è ovvio che sia meglio non comparire, al momento, piuttosto che rischiare di essere inchiodati ad antiche posizioni a dir poco scomode.