la parabola
Il ri-trattato del Quirinale grillino. Dal pellegrinaggio dai gilet gialli all'amicizia con Macron
Andavano in visita dagli estremisti che mettevano a ferro e fuoco Parigi. Adesso i Cinque stelle accolgono la firma del patto di cooperazione rafforzata come "uno storico passo per la costruzione di un'Europa più forte"
C’erano una volta i grillini casseurs. Partivano in pellegrinaggio alla volta dei gilet gialli (e mica dell’ala moderata, quelli li evitavano). Guardate cosa sono diventati due anni dopo, ora che festeggiano il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia come “uno storico passo avanti per la costruzione di un’Europa più forte”. Sicuri di trovarci nella stessa epoca? Quella di prima era la stagione del governo del cambiamento con la Lega. E il Movimento, col consenso erosogli pian piano dall’alleato Salvini, si barcamenava in Europa alla ricerca di un alleato purchessia per vincere l’isolamento continentale dopo troppi dinieghi. Così il 6 febbraio 2019, scortati dal già vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista si recarono a Montargis, un paesino a un centinaio di chilometri a sud di Parigi, in udienza da Christophe Chalençon, il fabbro che nei gilet jaunes rappresentava il radicalismo di estrema destra. Uno che, per dire il personaggio, aveva già chiesto che l’esercito arrestasse Macron. E sosteneva che la guerra civile in Francia fosse oramai non più rinviabile. Esecrando qualsiasi tentativo di darsi una veste più istituzionale, far confluire la protesta nei canali del dissenso ordinato. Una sorta di generale Pappalardo più spinto. A suo modo li congedò con una specie di endorsement (“Un’alleanza? Non andiamo troppo in fretta. Vorremmo avere la libertà di svegliarci la mattina a letto insieme ma di poterci rimettere le mutande e andarcene”, disse intervistato dalla Stampa).
Nelle foto di quel giorno solo grandi sorrisi, pacche sulle spalle: segno che quelle settimane di contestazioni e città incendiate, che avevano sprangato la Francia, i tre non è che le ripudiassero. Anzi. Un mese prima sul blog delle stelle era apparso un appello affinché i manifestanti non mollassero. Oggi, ventotto mesi dopo, a Villa Madama, il ministro degli Esteri Di Maio invece spiegava, cercando in un guizzo di fare capolino nelle foto dietro a Draghi e Macron, che il trattato appena sottoscritto “è un altro passo che muoviamo insieme in un percorso comune. Un percorso europeo, che guarda al futuro con lungimiranza”. E che soprattutto simboleggia “l’amicizia e i rapporti tra i nostri due Paesi”. Che se uno dal nulla volgesse lo sguardo al passato più o meno recente, persino il ricordo della crisi diplomatica che portò Macron a richiamare a Parigi il suo ambasciatore in Italia Christian Masset, un unicum dalla fine della Seconda guerra mondiale, non potrebbe in alcun modo appartenere alla sfera del reale. Chapeau.
Lo disse anche Conte, a colloquio con la Merkel durante un Consiglio europeo in piena campagna elettorale per le europee del 2019: i grillini avevano eletto nel governo di Macron il loro principale bersaglio. E Di Maio arrivò pure a criticare l’inquilino dell’Eliseo per le politiche nel Mediterraneo, perché “Macron prima ci fa la morale e poi continua a finanziarsi il debito pubblico con i soldi con cui sfrutta i paesi africani”, alludendo all’imposizione del Franco nel continente.
Ora che invece sostengono un governo il cui premier è Mario Draghi, nel documento che sancisce il rafforzamento della cooperazione tra Italia e Francia, si legge persino che uno degli obiettivi individuati come prioritari dai due paesi è il completamento dell’alta velocità tra Torino e Lione. La cui contrarietà, ironia degli incroci, fu uno dei punti di contatto tra M5s e gilet jaunes. E nell’estate del Papeete avrebbe poi portato al naufragio dell’esperienza gialloverde. Tra Montargis e Villa Madama passa una distanza di oltre 1300 chilometri. Che il Movimento cinque stelle pare aver percorso con lo spirito di un Cammino di Santiago. Ha capito, una volta concluso, di essere diventato un’altra versione di se stesso. Forse migliore. E il fatto che Castaldo, cioè colui che ha propiziato l’incontro con Chalençon, sarà il responsabile esteri anche nella nuova segreteria di Conte, è solo una casualità.