L'intervista

Pisapia: “Con Davigo è saltata la separazione imputato-indagato. La giustizia si riforma ora o mai più”

"Da questa crisi se ne può e deve uscire solo con un Csm credibile e coraggioso”

Carmelo Caruso

"In questo paese il segreto d'ufficio e d'indagine viene quotidianamente violato. Si leggono intercettazioni dove la realtà non è più separata dalla frase sparata grossa". Intervista all'avvocato ex sindaco di Milano

Racconta che c’è un principio giuridico, il segreto d’ufficio, che in Italia viene “quotidianamente violato” e che ce ne accorgiamo solo adesso perché a violarlo sarebbe stato addirittura un ex magistrato, uno come Piercamillo Davigo. E non è peggio? “Direi che è inaspettato. Tanto più che colpisce un protagonista di una stagione in cui è saltata la distinzione tra imputato e indagato”. E Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano e oggi europarlamentare indipendente del Pd, dice che ne soffre e che ne dovremmo soffrire tutti come prima di lui ne soffriva il padre Gian Domenico. Sono infatti loro, i Pisapia, l’ultima “famiglia Beccaria”, gli eredi del lume e del caffè.

 

Spiega dunque che il “segreto” (d’ufficio e d’indagine) è il santuario della giustizia, anzi, “lo strumento, il luogo e il tempo in cui non si accertano le responsabilità ma il passaggio in cui si capisce se ci sono ragioni valide per chiedere un pubblico dibattimento”. E invece? “E invece è accaduto di leggere intercettazioni dove la realtà non è più separata dalla frase sparata grossa. Ormai l’ipotesi non verificata dai giudici diventa una presunzione di colpevolezza. Serve a creare il clima, la gogna mediatica, ‘dagli, dagli’ ”. In alcuni casi sono state prese intercettazioni del passato e solo per sporcare carriere nuove. Ci si può difendere? “Ovviamente no. La menzogna è facile da diffondere. La verità impossibile da far conoscere. Eppure il codice è chiaro. Intercettazioni sono consentite solo se assolutamente necessarie e indispensabili e per reati particolarmente gravi”.

 

Due giorni fa, Sergio Mattarella, che sta per lasciare il Quirinale, ha speso le sue ultime parole per chiedere alla magistratura di ritrovare il “rigore”, di evitare “i protagonismi”. Ma non è stato forse sempre così? Ricorda Pisapia che prima di Mani pulite, quando frequentava le aule di giustizia, da avvocato, non gli capitava mai di incontrare i giornalisti dietro la porta di un pm. Cosa facevano? “Gareggiavano tra di loro ma  per seguire dibattimenti. Voglio dire che i protagonisti non erano i pm ma i giudici. La fase d’indagine si scambia purtroppo con la fase finale del processo”. Recita allora, e per intero, l’articolo 329 del codice di procedura penale, che è l’articolo del segreto d’ufficio, un’altra garanzia. E’ quell’articolo in cui si precisa che gli atti di indagine “sono coperti dal segreto d’indagine fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza”.

 

Anche Davigo, da indagato, ha provato questa strana sensazione. E allora Pisapia, che è quanto di più lontano anche esteticamente dall’inquisitore, spiega “che dovrebbe farci riflettere tanto più che ormai questa violazione colpisce tutti indistintamente”. E si limita a dire che certo è curioso. Perché? “Fu proprio Mani pulite, che ritengo un’occasione di rinnovamento persa, a far saltare il principio del segreto d’ufficio, questo principio che è civiltà”. Mattarella ha ricordato pure che la riforma del Csm non è più rinviabile. E Pisapia concorda: “Abbiamo parlato di violazioni. Ebbene, la magistratura non può dire ‘deve intervenire la politica’. Io dico deve intervenire il Csm. Non ci sono sanzioni. Da questa crisi  se ne può e deve uscire solo con un Csm credibile e coraggioso”. Ieri, è finalmente stata approvata la riforma del processo civile. Non è qualcosa? “E’ molto. Ma la vera sfida rimane riformare il processo penale. E lo dico davvero pieno di speranza. Credetemi, è questa l’ultima occasione per riformare la giustizia per avere una giustizia equa e celere. Non ce ne sarà più un’altra. E’ l’ultima”.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio