Il caso
M5s, Conte stretto tra il 2 per mille e l'obiettivo 20%. Nella morsa Grillo-Di Maio
La mutazione dei grillini da Movimento a partito è a un passo. Ed è solo l'ultima svolta di una lunga serie
Gli scritti dovranno decidere la nuova forma di finanziamento che non piace al Garante. L'ex premier mette le mani avanti: "Se passa il no, non cambia nulla". E intanto il ministro degli Esteri lo pungola
Ci sono due numeri nella testa di Giuseppe Conte: 2 per mille e 20 per cento. Il primo si porta dietro una svolta storica per i grillini, nati con la benzina dell’antipolitica e della casta. Ora il M5s ha chiesto agli iscritti di poter usufruire della quota d’imposta sui redditi delle persone fisiche. Come tutti gli altri partiti, spernacchiati fin qui in virtù di una presunta differenza quasi antropologica: noi e loro. Poi c’è il 20 per cento. L’asticella che Luigi Di Maio ha fissato in vista delle elezioni, parlando alla festa del Foglio a Firenze. Per i maligni l’auspicio del ministro degli Esteri è anche un modo per scavalcare ancora una volta l’ex premier. Dandogli un obiettivo. Tacendo invece sul 2 per mille. La sfida che preoccupa Conte.
Siccome c’è di mezzo il voto degli iscritti su una piattaforma online, il risultato è in bilico. Imprevedibile. E se vincessero i “no” passerebbe la linea della sonora bocciatura per Conte. Ecco perché l’ex premier dopo aver lanciato il referendum è corso a sottolineare un aspetto: “Se dovesse affermarsi la volontà del No per noi non cambierebbe nulla”. Nessun problema. Rimarrebbe il sistema delle micro donazioni per finanziare l’attività del Movimento, unito al taglio degli stipendi che con molta fatica i parlamentari continuano a portare avanti (ma sono sempre meno a farlo).
Beppe Grillo è contrario a questa mossa. Non lo ha detto pubblicamente, ma non ha smentito tutte le ricostruzioni in merito. Il Garante pensa che gli iscritti della vecchia ora al M5s non capiranno l’esigenza di poter usufruire del 2 per mille e che, soprattutto, se la svolta non dovesse dare i frutti sperati (dal punto di vista della raccolta economica) sarebbe un’ulteriore beffa. Grillo non apre bocca. E nemmeno Di Maio lo fa. Quasi a significare un’intesa. E ancora una volta l’ex premier si trova in balìa dei retroscena. “Questa decisione era stata presa dal Movimento durante gli Stati generali quando ero ancora premier”, tiene a specificare Conte quasi a prendere le distanze dall’ultimo strappo con il passato.
Di fatto il Movimento, se sulla piattaforma SkyVote vinceranno i sì, non sarà più ontologicamente un Movimento. Ma un partito come tutti gli altri. Dal punto di vista legale e burocratico. Sarà infatti una commissione che fa capo al Parlamento a decidere se i grillini, statuto alla mano, sono a tutti gli effetti un partito. L’esito dell’ordalia via web si saprà alle 12.30 poi, salvo sorprese, i pentastellati presenteranno la domanda di accettazione alla “commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”. Il termine per presentare le domande scade oggi. Se non ci saranno intoppi tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, dovrebbe arrivare il via libera. Per fare in modo quindi che l’Agenzia delle entrate possa inserire il M5s nell’elenco dei destinatari del 2x1000 per le dichiarazioni dei redditi 2022 e l'eventuale percezione della prima tranche a novembre 2022. Quindi in tempo per le elezioni del 2023, data in cui dovrebbe finire la legislatura, salvo voto anticipato. Ma è proprio il desiderio di essere come gli altri che assilla e scuote il M5s. Da una parte i soldi, sterco del diavolo indispensabile per fare politica; dall’altra il romanticismo di “chi voleva cambiare il mondo” ma alla fine C’eravamo tanto amati.
E così Conte si trova in mezzo, ancora una volta: “Non saremo comunque un partito tradizionale”, dice. Ma allo stesso tempo ammette: “Ma questi finanziamenti potrebbero aiutarci a strutturarci sui territori”. Salvo poi concludere: “Se vince il no, però avanti come prima”. E in questi pensieri contiani c’è tutta l’ambiguità di una transizione ancora lontana dal compiersi. Carne o pesce? No, siamo fatti di tofu. Dietro a questa vicenda si scopre dunque perché l’ex premier spinga per far arrivare il Parlamento alla scadenza naturale. “Noi che facciamo parte del suo stretto giro gli consigliamo di andare alle urne dopo l’elezione del presidente della Repubblica, ma lui, Giuseppe, è contrario: dice che il tempo lo aiuterà a far crescere il M5s”, raccontano dal suo cerchio magico. E qui si torna al 20 per cento, paletto fissato da Di Maio domenica scorsa all’evento organizzato da questo giornale. Le ultime rilevazioni danno i grillini in una forbice fra l’11 e il 15 per cento. La “quota 20” agitata da Di Maio nell’ottica del ministro degli Esteri serve a stroncare la subalternità al Pd, ma appunto anche a mettere alla prova l’ex premier. Il dualismo fra i due è sfrontato al di là delle smentite. E si risolverà quando arriverà il momento di compilare le liste elettorali. In quell’occasione Conte potrebbe “vendicarsi” lasciando al mondo dimaiano una piccolissima quota di rappresentanza. Pulizia etnica. Ma fra le pieghe dello statuto M5s si nasconde l’inghippo. Da regolamento il via libera alle candidature deve arrivare dal comitato di garanzia del M5s. Presieduto da Di Maio.