Monti e la "censura"
Parole sbagliate e idee giuste: bisogna correggere la disinformazione sul Covid
L'ex premier Monti usa spesso immagini impopolari, ma se invece di far polemica si prendesse sul serio la sua domanda? E' conforme ai nostri interessi che i media offrano una rappresentazione falsificata e poco scientifica, e sovraespongano no vax e simili, che sono solo una minoranza rumorosa?
Fossimo tedeschi avremmo di certo una parola sola per dire “esprime concetti ragionevoli, ma lo fa ricorrendo a espressioni non condivisibili”. La lingua sincopata e moralista dei social lo bollerebbe come tipico scivolone cringe. Poi ci sono i commentatori più o meno professionali, quelli che per vizio di forma e di analisi logica tralasciano sempre di contestualizzare e si buttano a pesce sull’allarmismo delle parole. Come è accaduto per le “guerre puniche” del ministro Cingolani, di cui nessuno s’è sforzato di cogliere il senso oltre l’immagine magari mal trovata. O cringe. Peccato però che Mario Monti, nelle sue uscite controintuitive o controcorrente abbia spesso ragione. O stia dalla parte di un ragionevole dubbio. Come quando l’altra sera ha detto a La7 che, nella guerra contro il Covid, “bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione”.
Perché prendere sul serio la provocazione di Monti su Covid e informazione
Il professor Mario Monti ha il modo di argomentare degli accademici che spesso tralasciano, dandole per scontate, le premesse, spesso tralasciando che gli interlocutori sono il pubblico dei media. Così Monti non si fece amare quando spiegò agli italiani travolti dai debiti che l’Italia avrebbe fatto “i compiti a casa”. Ma fece imbufalire anche i tedeschi quando disse allo Spiegel che i governi non dovrebbero farsi vincolare troppo dai parlamenti, pena la “disintegrazione dell’Europa”. Uscite spesso impopolari. Ma sono anche sbagliate, antidemocratiche? Il tema che ha posto ora, il rapporto tra gestione politica e scientifico-sanitaria della pandemia e l’informazione, mette in evidenza un problema macroscopico, e sul quale – a onor del vero – molti riflettono da tempo.
Monti (che poi ha provato a chiarire il suo pensiero, senza particolare efficacia) non ha invocato la dittatura: “Nessuna censura”, ha detto, indicando invece “un nuovo ruolo dell’informazione in una situazione di emergenza”. Il paragone bellico, già frusto di suo, non è di certo il migliore. E nemmeno l’argomento in base a cui, avendo “già accettato limitazioni alla nostra libertà di movimento”, potremmo anche disporci ad accettare un forte filtro sulle notizie. Ma se prima di fare filosofia (o di indignarsi, che è sempre la scorciatoia più stupida), si provasse a rispondere alla domanda che Monti ha posto, la prospettiva sarebbe un po’ diversa: “E’ confacente che ogni canale tv dedichi 10-15 ore al giorno a questi temi?”. Da diciotto mesi, aggiungiamo, e nell’85 per cento dei casi senza avere nulla di scientificamente rilevante da dire e affidandosi al circo Barnum di viro-opinionisti che conosciamo. Ma vale anche per i giornali riempiti per lo più di allarmismi non confacenti a una buona gestione della pandemia. Si può ottenere che almeno l’informazione sia aderente ai dati di evidenza pubblica e scientifica?
L’ultimo esempio è quello della variante Omicron, annunciata come l’arma letale in grado di falcidiarci, alla faccia dei vaccini. Ieri, a Londra, i ministri della Salute del G7 hanno concordato sull’allarme alto, ma come ha spiegato alla Stampa l’immunologo Alberto Mantovani, le vaccinazioni hanno già dimostrato di essere un buon argine, per quanto imperfetto, con le altre varianti ed è improbabile (all’oggi) che Omicron “sfugga del tutto al vaccino”. Il resto è opinionismo e allarmismo. E va notato che un’informazione così strillata sul Covid esiste solo in Italia (è significativo che le prime reazioni fortemente critiche alle parole di Monti siano venute da politici e giornali della destra). Non è però nemmeno il punto cruciale.
Mirabelli: "Le informazioni non vanno dosate"
C’è un’altra domanda che si dovrebbe avere il coraggio di fare. Non sarebbe necessario trovare regole condivise – e non poliziesche – per far sì che giornali e tv offrano una più equilibrata rappresentazione dei fatti? I dati del ministero della Salute, ad esempio, parlano di 53 milioni di green pass attivi: significa che i famosi No pass sono una percentuale infima della popolazione. Come del resto le tanto mediaticamente pompate manifestazioni no vax hanno dimostrato: minoranze rumorose. Eppure la loro consistenza è costantemente sovrarappresentata e sovraesposta. Mettere in uno studio un No vax e uno scienziato dà al pubblico l’impressione di due opinioni equivalenti, ugualmente motivate e presenti nel paese. Ma non è vero. E’ una falsificazione pericolosa che indebolisce tutte le possibili iniziative di un buon governo sanitario della pandemia. Serve la censura di guerra, allora? Intervistato da Adnkronos, il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli ha risposto con pacatezza: “Le informazioni nella guerra al Covid-19 non vanno dosate. Più chiare e veritiere sono, maggiore è l’adesione e l’apprezzamento dei cittadini”. Ma allo stesso tempo, “le dichiarazioni di Monti toccano un problema esistente: la responsabilità della comunicazione”. Nessun paese democratico può ripristinare il “taci, il nemico ti ascolta”. Ma davanti a un “taci, stai raccontando fesserie”, l’autocontrollo dei media dovrebbe scattare sull’attenti.