Giggino e i piccolo-borghesi
Rimproverano al Di Maio di oggi il Di Maio di ieri, invece di riflettere sulle virtù di un sistema che trasforma le zucche in carrozze. Vogliono sentirsi di un ceto medio superiore, ma l’onorevole ministro li ha fregati
Ho una particolare predilezione per i piccolo-borghesi e per la classe media. Kierkegaard li detestava per difetto di immaginazione e spirito, ma era un filosofo sentimentale fissato con la decifrazione dell’esistenza umana e della propria. Da gagliardo materialista storico, so che niente della società moderna avrebbe un senso senza la base sociale della democrazia, il piccolo-borghese, al quale bisognerebbe dedicare con immaginazione un monumento aere perennius in molte piazze cittadine e rurali. Non mi piacciono invece quelli che sono piccolo-borghesi e non lo sanno, e per questo passano il tempo parlando male di Gigi Di Maio, sperando che la circostanza faccia di loro esemplari di cultura, eleganza, industriosità, novazione perpetua, liberalismo, riformismo.
Di Maio è un bibitaro dello stadio San Paolo di Napoli divenuto re, nella fiaba, nella realtà vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro dello Sviluppo economico, ministro degli Affari esteri. Quando i grillini, insetti fastidiosi della democrazia italiana vaffanculata da un comico annoiato e oggi redento dal draghismo e dalle goffe accuse rivolte al suo figliolo, presero il 32 per cento, il capo era lui. Voleva uscire dall’euro, voleva distruggere Palazzo Berlaymont con l’aiuto di Di Battista, voleva un gilet giallo ad honorem, la galera a vista, la povertà abolita, la cacciata del capo dello stato per esercizio proprio dei suoi poteri costituzionali: un demente.
Poi però, e di recente anche con un quid di autoironia (vedi il suo intervento alla Festa del Foglio ottimista), Di Maio è cambiato, è diventato una variante virale buona del bibitaro grillino d’antan, l’euro è irreversibile, a Bruxelles ci si trova come a casa, i gilet gialli sono dei puzzoni e lui vota Macron, mettere alla gogna e in galera amministratori poi assolti fu un errore bastardo, il capo dello stato è un galantuomo.
Il piccolo-borghese che fa? La cosa più banale. Rimprovera al Giggino di oggi il Giggino di ieri, lo accusa di contraddirsi. Invece di interrogarsi sui miracoli immanenti, che sarebbe prova di una certa immaginazione spirituale, invece di riflettere sulle virtù di un sistema che trasforma trasformisticamente le zucche in carrozze, e da sempre, il petit bourgeois che fa finta di essere altro si bea del proprio spirito censorio, lo scambia per riformismo liberale, si innalza sopra l’ometto del 32 per cento passato dalla condizione bestiale di assistente della Bestia alla funzione tradizionale politicamente assai brillante di homo novus, di parvenu che magari indosserà il cilindro come un cafone arricchito (T. S. Eliot) ma rinuncia a presentarsi mutande e canottiera in società. Non è un progresso? Non va incoraggiato? Non mostra il retroscena di farsa di tutta la storia del populismo all’italiana, variazione della commedia come ben sanno Minuz & Masneri?
Parlare male di Di Maio, l’onorevole ministro, oggi è garanzia sociale e mondana per chi voglia sentirsi di un ceto medio sì, magari, ma medio superiore. Trovi un lazzo contro l’ex bibitaro e subito nella tua medietà ti senti trasportato nell’atmosfera della seconda scuola di Vienna, godi della tua facoltà accademico-politologica, se lui ha la Feluca della diplomazia al posto della felpa populista tu sbeffeggiandolo per quello che è diventato ti distacchi da una mentalità, da una vita, da una sindrome che ti ossessiona, ti confermi nel mondo della grande moda, senti improvvisamente di poter essere a spese dell’intruso un oratore ubriaco ed eloquente come Churchill, agisci con quella Grandeur di cui magari a volte tende a sfuggirti il senso. Piccoli borghesi di tutto il mondo, disunitevi e accettate che Giggino vi abbia fregato partendo da un gradino sotto la classe media!